Le vite degli ostaggi | Giuliana Sgrena
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Le vite degli ostaggi

Sono dodici gli ostaggi italiani sequestrati in varie parti del mondo. Gli ultimi due in India.L''arma del sequestro nelle mani di terroristi e non solo.'

Le vite degli ostaggi
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20 Marzo 2012 - 20.54


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Paolo Bosusco e Claudio Colangelo sono gli ultimi nomi della lista di ostaggi italiani rapiti in giro per il mondo, in tutto dodici. Quella degli ostaggi sembra diventata l’arma utilizzata da chi non può disporre di altri armamenti sofisticati. Un’arma micidiale che priva della libertà cittadini, dunque civili, spesso volontari impegnati in azioni umanitarie a favore di popolazioni povere, prive dei servizi essenziali. Un’arma usata principalmente da gruppi terroristi ma non solo. Anche se il sequestro di per sé è un atto terroristico.
Con i sequestri si scoprono conflitti spesso dimenticati o ignorati del tutto. Con Rossella Urru è stata riscoperta la causa sahrawi, con i due ultimi sequestri si scopre il movimento maoista dell’Orissa, stato dell’India che si affaccia sul golfo del Bengala. In questo caso non si trattava di volontariato ma di turismo (anche se Claudio Colangelo, medico, ha una grande esperienza nel volontariato), certo un turismo in luoghi estremi, in una zona tribale, ma che Bosusco conosce bene.

Cos’è andato storto? Difficile dirlo, in tutti i casi. Quello che importa ora è che le loro vite, come quelle degli altri ostaggi, non solo italiani, vengano salvate. Certo le richieste dei maoisti sono molte e difficili da soddisfare da parte del governo indiano. Mi ha però colpito il fatto che tra le 13 richieste avanzate ve ne siano alcune assolutamente lecite: “fornire acqua potabile a tutti i villaggi dell’Orissa, irrigazione a tutte le terre, strutture mediche e ospedaliere gratuite. Fornire istruzione gratis a tutti gli studenti fino alle superiori”. Sono rivendicazioni che richiedono un impegno economico, ma quelle zone – dove lo stato non è presente – sono ricche di minerali. E poi richieste per mettere fine alla violenza e il rilascio di detenuti politici.
Guardando la questione dal punto di vista degli ostaggi è positivo che i sequestratori facciano sapere le loro richieste e dichiarino una tregua alla loro lotta armata, questo vuol dire che sono pronti a trattare, anche se poi pongono ultimatum, e in una trattativa si può arrivare a un compromesso. Quanto tempo ci vorrà? Questo è difficile da dire, tra gli italiani sequestrati alcuni lo sono da più di un anno (i sei marinai della nave Enrico Ievoli, Bruno Pellizzari sequestrato con la moglie nell’oceano indiano), Maria Sandra Mariani è stata presa in ostaggio mentre era in viaggio turistico nel sud dell’Algeria nel febbraio del 2011, Rossella Urru nell’ottobre dello scorso anno, sempre in Algeria, mentre era impegnata con una Ong italiana nei campi profughi sahrawi. Giovanni Lo Porto è invece stato rapito il 19 gennaio del 2012, insieme ad un altro cooperante tedesco, appena arrivato (2 giorni dopo) in Pakistan.

Le famiglie vivono nell’angoscia in attesa di notizie che spesso non arrivano, ma i governi italiani sono sempre stati favorevoli alla trattativa e quando c’è stata possibilità di trattare gli ostaggi sono tornati a casa. Questo purtroppo non è successo per Baldoni in Iraq e più recentemente per Lamolinara in Nigeria. Lamolinara è rimasto ucciso, insieme a un ostaggio britannico, durante un blitz delle forze speciali inglesi e nigeriane. I blitz sono pericolosissimi per gli ostaggi, che possono essere uccisi dai sequestratori messi alle strette o finire vittime del fuoco amico durante l’attacco.

L’arma del sequestro si è così diffusa che non fa neppure più notizia e scompare subito dalle pagine dei giornali. Il sequestro di Bosusco e Colangelo ormai riempie le pagine sono dei giornali locali –The Indian Express e The Times of India – che oggi (20 marzo) aprono la prima pagina sottolineando che i maoisti hanno designato loro mediatori e dichiarato un cessate il fuoco unilaterale.

Il silenzio stampa spesso è imposto dalle autorità, in questo caso la Farnesina, per – si dice – non far lievitare il riscatto. Naturalmente dipende da chi sono i sequestratori e cosa chiedono – i maoisti dell’Orissa non sembrano chiedere soldi – ma nel mio caso è servita sia la mobilitazione che l’impegno insostituibile dei negoziatori guidati da Nicola Calipari, che oltre a liberarmi dai miei rapitori mi ha protetto dai proiettili americani, salvandomi due volte la vita.

In India però non vi sono solo due italiani sequestrati dai maoisti, ma anche i due marò, accusati dell’uccisione di due pescatori, il cui fermo è stato prolungato in attesa che la corte stabilisca la giurisdizione. E poi ci sono altri italiani che scontano pene pesanti nelle carceri dopo una condanna sommaria e di cui non si occupa nessuno.

Io rispetto la vita umana di chiunque ma la giustizia non deve calpestare i diritti stabiliti dalle convenzioni internazionali, che spesso sono diventate carta straccia. L’Italia può e deve far valere i suoi diritti di sovranità e di giurisdizione sempre, e non solo quando si trova di fronte uno stato ritenuto più debole, come l’India. In un recente dibattito alla Camera è stato il presidente Fini ad ammettere (sottovoce) che sul caso Calipari c’è stato un compromesso con gli Stati uniti. Questo non dovrebbe accadere. Così come non dovrebbe accadere che si usi la forza per liberare i marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, come auspicato da quelli che oggi sono scesi in piazza a Roma sotto le bandiere di Casa Pound. Non è con la violenza che si possono risolvere le relazioni tra gli stati, altrimenti diventerebbe vano invocare la giustizia, sia italiana che indiana. Oltre ad ottenere la giurisdizione per giudicare i due marò dovremmo anche preoccuparci di dimostrare che non sono stati loro a uccidere i due pescatori indiani. Altrimenti a prevalere sarà la legge della giungla.

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