La "strategia" del terrore | Giuliana Sgrena
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La "strategia" del terrore

A un anno dai rapimenti dei cooperanti europei, allerta nei campi profughi sahrawi di Tindouf, per gli attacchi del Marocco e l''espandersi nell''area delle milizie islamiste.'

La "strategia" del terrore
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8 Dicembre 2012 - 17.43


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A un anno dai rapimenti dei cooperanti europei, allerta nei campi profughi sahrawi di Tindouf, per gli attacchi del Marocco e l”espandersi nell”area delle milizie islamiste, mentre si prepara l”intervento militare internazionale in nord Mali.

«Chi avrebbe mai potuto immaginare che degli stranieri potessero essere rapiti qui da noi? Con il livello di fiducia che esiste tra i nostri cittadini ritenevamo impossibile essere colpiti dal pericolo terrorista!», esclama un alto responsabile della sicurezza sahrawi. Il Fronte polisario non riesce a capacitarsi, un anno dopo l”operazione di Tindouf, che il Mujao (Movimento per l”unicità e il jihad nell”Africa occidentale) sia potuto penetrare nei campi profughi, falsando l”immagine della causa dei sahrawi, ormai accusati di complicità con i terroristi. Ecco un buon argomento usato dal regime marocchino per screditarli agli occhi del mondo.

Il sospetto del Fronte polisario

Il Fronte polisario non nasconde il sospetto che ci sia il Marocco dietro a questa operazione: incoraggiare la nascita di gruppi terroristi, finanziarli per attaccare i campi profughi, in modo da convincere l”opinione internazionale che esiste un legame tra il Fronte polisario e il terrorismo che si sta diffondendo nella regione. Il primo ministro sahrawi, Taleb Omar, afferma che «il Mujao è una creazione dei servizi segreti marocchini e che il sequestro dei cooperanti nei campi a una distanza di 2.400 chilometri da Gao (Nord del Mali) aveva come obiettivo di far credere che c”è una instabilità negli accampamenti e che i sahrawi hanno relazioni con i gruppi jihadisti. È l”attuale strategia marocchina nei nostri confronti». Per il premier non è un caso che questo gruppo terrorista sia nato un mese dopo il sequestro di Tindouf e che abbia compiuto le sue azioni solo contro l”Algeria e i campi sahrawi, mentre proclama di fare il jihad in tutta l”Africa occidentale.

La «miccia» dei giovani disoccupati

Da parte marocchina si continua a ripetere che i giovani sahrawi disoccupati sono diventati l”obiettivo privilegiato dei gruppi terroristi. Durante il suo discorso alla quarta commissione dell”Onu (che si è tenuta dall”8 al 15 ottobre 2012), l”ambasciatore del Marocco alle Nazioni unite, Mohamed Loulichki ha dichiarato che «questa impazienza (di trovare una soluzione, nda) incita o obbliga una parte della popolazione dei campi e soprattutto la gioventù senza lavoro e senza prospettive nell”avvenire, a lasciarsi tentare o addestrare alle attività illegali e terroriste che minacciano l”intera regione». Ha aggiunto che «questi stessi campi diventano permeabili a sequestri minacciando l”integrità fisica della popolazione tanto che alcuni paesi hanno deciso di ritirare i loro connazionali impegnati in campo umanitario (il riferimento è alla Spagna, nda)».

Resta da vedere se si tratta solo di propaganda marocchina o di un vero pericolo terrorista che minaccia i campi, come succede in tutta la regione del Sahel e del Maghreb arabo.

Una cosa è certa: l”operazione del sequestro di tre cooperanti (due spagnoli e una italiana, Rossella Urru) a Tindouf non avrebbe potuto realizzarsi senza una complicità all”interno degli accampamenti. Perché i terroristi sono venuti dal Mali, hanno attraversato la frontiera mauritana per entrare in Algeria e raggiungere di notte i campi di Rabbouni.

Le autorità sahrawi non negano che ci sia stata una collaborazione con elementi all”interno dei campi. «I narcotrafficanti che si trovano nella zona sono stati utilizzati dai gruppi terroristi al di fuori dei campi per facilitare la penetrazione nei luoghi dove sono stati rapiti gli europei», afferma un alto responsabile della sicurezza del Fronte polisario.

Ciò che ha destabilizzato maggiormente le autorità sahrawi è il fatto di non essere preparate a simili attacchi. Lo stesso responsabile della sicurezza spiega: «Tutte le nostre forze erano concentrate sul muro di difesa marocchino da dove normalmente passano i trafficanti di droga. Eravamo lontani dall”immaginare che il pericolo potesse venire dai campi». La sorpresa è stata tanto più scioccante in quanto l”entrata agli accampamenti fino ad allora era sempre stata aperta. Inoltre, i sahrawi hanno importanti relazioni commerciali con la Mauritania e il Mali, con spostamenti regolari. È difficile controllare questi trasferimenti frequenti.

Si può dunque parlare dell”esistenza di gruppi terroristi che cominciano a prendere forma nei campi e che potrebbero forse avere rapporti con l”Aqmi (al Qaida nel Maghreb islamico) che opera soprattutto nel nord del Mali?
Il Fronte polisario ammette l”esistenza di elementi sahrawi che potrebbero essere stati corrotti per i soldi e sedotti dai movimenti terroristi provenienti dall”estero, vista la situazione generale di povertà che regna nei campi, ma nega categoricamente che ci siano dei gruppi organizzati. Questi elementi arriverebbero soprattutto dai territori occupati dal Marocco, o potrebbero essere persone che hanno seguito studi religiosi rigorosi (l”ideologia salafita) in Mauritania o in Algeria e indottrinati per diffondere un islam radicale e violento una volta tornati ai campi. È difficile valutare il loro impatto e il loro numero. Alcuni hanno avuto esperienza nel narcotraffico, facilitando l”arrivo della droga attraverso il muro di difesa marocchino, il suo stoccaggio nei campi e il successivo trasporto verso la Mauritania o il nord del Mali.

«Sono un salafita jihadista»

Abu Katada, 43 anni, incontrato nei campi, dice di appartenere alla corrente salafita jihadista e non nasconde il suo desiderio che lo stato sahrawi diventi uno stato islamico dove si applichi la sharia. Con la sua attività nel settore del commercio, partecipa al trasporto di viveri e di medicine ai gruppi terroristi del Nord del Mali e confessa che ci sono «collaborazioni tra tutti i jihadisti della regione».

Secondo alcune informazioni, ci sarebbero anche partenze di sahrawi verso il Nord del Mali per combattere a fianco dei gruppi terroristi che si stanno preparando a far fronte a un intervento militare in quel paese. «Ma siamo lontani dalle centinaia di persone, di cui ha parlato l”Afp del 21 ottobre 2012», secondo i responsabili della sicurezza di Rabbouni. È chiaro che il Sahara occidentale e i campi di Tindouf non possono essere al riparo dal terrorismo che imperversa attualmente nella regione. È altrettanto evidente che la gioventù colpita per oltre l”80 per cento dalla disoccupazione e frustrata dalla situazione precaria nei campi, in attesa di una soluzione al conflitto che tarda ad arrivare dopo 21 anni (dall”approvazione del piano Onu e dal cessate il fuoco, ndr), potrebbe diventare sensibile all”offerta dei narcotrafficanti o dei terroristi. Ma non si tratta per il momento di un fenomeno rilevante.

Tuttavia, la frustrazione non può essere l”unica spiegazione a questa nuova situazione. Vivere accanto a uno dei principali produttori di cannabis al mondo (uno spazio coltivabile stimato in circa 47.500 ettari), come ha precisato il rapporto dell”Ufficio delle nazioni unite per la lotta contro la droga e il crimine (Unodc), pubblicato l”anno scorso, complica la questione. Perché il produttore, che guadagna circa 31 miliardi di dollari da questo commercio, cerca in tutti i modi di farlo prosperare. Secondo lo stesso rapporto dell”Unodc, la produzione marocchina è destinata essenzialmente all”Africa e all”Europa occidentale. Molti gli itinerari per la distribuzione, tra cui le brecce nel muro di difesa marocchino che divide il Sahara occidentale.

«I narcotrafficanti, con la complicità delle guardie militari marocchine, approfittano di passaggi che permettono loro di far uscire la droga con veicoli e di consegnarla ad altri gruppi che arrivano dalla Mauritania e la trasportano verso il Mali», spiega Abdelhay Emmay. il comandante della prima legione della seconda regione militare dei territori liberati del Sahara occidentale. Si tratta di centinaia di brecce aperte momentaneamente e poi richiuse lungo i 2.400 chilometri di muro. Create inizialmente per il traffico di sigarette, poi di droga, poi per l”immigrazione clandestina di africani verso l”Europa, sono utilizzate ora anche per far passare i terroristi.

Il doppio pericolo

Di fronte a questo nuovo pericolo che viene ad aggiungersi a una situazione già complicata del conflitto, che dura da una quarantina d”anni, il Fronte polisario ha adottato misure di sicurezza rigide. Ha innanzitutto rafforzato la sua presenza intorno a ciascuno dei cinque accampamenti di Tindouf, poi ha formato forze speciali per la lotta contro il terrorismo che si incaricano, tra l”altro, della protezione di persone, soprattutto gli stranieri, che vengono in gran numero a lavorare in campo umanitario.

La sorveglianza delle frontiere con la Mauritania e il Marocco è stata rafforzata, moltiplicando le pattuglie e il controllo di persone e veicoli che le attraversano.

Ma il Polisario lamenta la mancanza di mezzi sofisticati (radar, satelliti, aerei ….) . Deve cavarsela con gli strumenti a disposizione, con una buona conoscenza del terreno e un servizio di informazione radicato tra la popolazione.

Tuttavia, la minaccia terrorista che preme sui campi non sembra attenuarsi, soprattutto in vista del prossimo intervento militare nel nord del Mali, che rischia di spingere i terroristi a fuggire verso i territori circostanti, tra i quali i campi di Tindouf e il Sahara occidentale. L”allarme sicurezza resta al massimo, per impedire la penetrazione dei terroristi nella zona.
«I nostri nemici sono diventati numerosi: il Marocco, il narcotraffico e il terrorismo», conclude un responsabile della sicurezza sahrawi.

il manifesto, 7 dicembre 2012

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