Piazza Tahrir non è più rivoluzionaria | Giuliana Sgrena
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Piazza Tahrir non è più rivoluzionaria

A festeggiare in piazza Tahrir sono gli islamisti e pochi rivoluzionari che si fidano del presidente Morsi.

Piazza Tahrir non è più rivoluzionaria
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26 Giugno 2012 - 11.37


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Non tutti gli egiziani hanno festeggiato la vittoria di Mohammed Morsi, candidato dei Fratelli musulmani alla presidenza. E a disertare i festeggiamenti non erano solo i sostenitori dell”ultimo primo ministro di Mubarak, Ahmed Shafiq. Piazza Tahrir domenica ha cambiato colore invasa com”era dagli islamisti. A casa sono rimasti gran parte dei rivoluzionari che non hanno potuto scegliere tra i due candidati in lizza. Anche se una delle componenti della rivoluzione, il movimento 6 aprile, si è schierata con Morsi, convinta di poter condizionare le sue scelte di governo. Perché il primo compito del leader dei Fratelli musulmani sarà proprio quello di nominare il nuovo governo.

L”attesa per l”annuncio dei risultati elettorali ufficiali aveva fatto temere nuove manovre dei militari. Il Consiglio supremo delle forze armate si era già premurato di limitare i poteri del presidente ben prima di proclamare la vittoria di Morsi. Non è escluso che dietro le quinte sia avvenuto un compromesso: i militari si sono incontrati con Khariat al Shater. Non sarebbe il primo. Anzi, alla base dei problemi che hanno fornito alla Corte il pretesto per lo scioglimento del parlamento, vi è l”accordo sui referendum costituzionali, passati con l”accordo tra militari e islamisti, che ha portato alle elezioni sulla base della vecchia legislazione. Che aveva premiato gli islamisti che dominavano il parlamento (con circa il 75% tra fratelli musulmani e salafiti) e che avevano nominato una costituente formata nella stragrande maggioranza da islamisti.

Ora si ricomincia da capo. O quasi. Morsi non è nuovo alla politica egiziana, è stato deputato indipendente dal 2000 al 2005, e durante quel periodo ha spesso denunciato riviste e tv per immagini e scene contrarie alla sharia (legge coranica).

Subito dopo la proclamazione della sua vittoria ha detto di voler essere il presidente di tutti gli egiziani, compito assai arduo visto il quadro emerso dalle elezioni: ha votato il 51 per cento degli egiziani di questi il 51,7 per cento per Morsi e il 48,3 il suo acerrimo rivale Shafiq, ma il restante 49 per cento non ha votato o ha annullato la scheda (800.000). Morsi è stato quindi eletto da circa il 26 per cento degli elettori.

Il vero sconfitto da queste elezioni è il movimento rivoluzionario, che sicuramente non sarà garantito da Morsi come non lo sarebbe stato da Shafiq. A parte il movimento 6 aprile, le altre componenti rivoluzionarie avevano sostenuto il boicottaggio o l”annullamento della scheda (il movimento 25 gennaio). Come al solito la divisione della sinistra non aveva permesso a un suo candidato di arrivare al ballottaggio. E pensare che il nasseriano Sabahi, arrivato terzo, aveva avuto la maggioranza dei voti al Cairo nel primo turno. Le forze della rivoluzione hanno accusato gli islamisti di voler scippare la rivoluzione, ma se di rivoluzione si parlerà ancora sarà di quella islamica.
Dopo le prime dichiarazioni concilianti, Morsi ha chiarito la sua posizione sulla politica regionale basata «sul rafforzamento dei legami con l”Iran per creare un equilibrio strategico nel Medio oriente». Inoltre, «riconsidereremo gli accordi di Camp David con Israele», ha dichiarato Morsi all”agenzia iraniana Fars. Sono dichiarazioni destinate ad avere un impatto notevole sulla regione, vista l”importanza dell”Egitto, il paese arabo più popoloso, e la tensione crescente tra Iran e Israele. Oltre agli effetti sul conflitto siriano.
In questo contesto è sorprendente la soddisfazione con cui Obama e gli occidentali hanno accolto l”elezione di Mohammed Morsi, che, secondo loro, dovrebbe garantire la stabilità nell”area.

il manifesto 26/06/2012

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