Donne manager nel Maghreb | Giuliana Sgrena
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Donne manager nel Maghreb

Superando difficoltà e discriminazioni le donne si fanno strada anche nel mondo degli affari.

Donne manager nel Maghreb
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8 Ottobre 2013 - 09.09


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Khadidja Belhadi è senza dubbio l’imprenditrice algerina più nota, nel 2009 era stata candidata alla lista delle “100 donne dell’anno” a livello mondiale. Nel 1985 ha creato la Edecor, una impresa specializzata nell’installazione di impianti sportivi. “Una donna trova il suo spazio nel mondo imprenditoriale algerino quando dimostra la sua capacità di gestione”, sostiene Belhadi. Anche se gli studi che riguardano i tre paesi del Maghreb – Algeria, Tunisia e Marocco – dimostrano che le donne imprenditrici, in maggioranza laureate e con precedenti esperienze professionali, si scontrano con il problema degli accessi ai crediti e sono costrette a fare ricorso ai propri beni per mettere insieme i capitali per avviare l’impresa.

Forse anche per questo, nel 2005, Khadidja ha realizzato quello che definisce un “sogno”, ha costituito l’Associazione delle algerine manager e imprenditrici (Ame, i cui valori sono: “rigore, trasparenza ed etica”) con l’ambizione di dare alle donne la possibilità di realizzarsi. Ovvero “creare uno spazio nella società algerina in continuità con le grandi eroine che hanno contribuito a fare la storia del nostro paese: la Kahina, Lalla Fatma N’Soumer, Hassiba ben Bouali…”. Tuttavia per realizzare il suo “sogno” l’imprenditrice algerina non si rivolge solo al passato ma si collega all’esperienza delle Business women americane.

Sebbene l’Algeria sia uno dei paesi al mondo con la più bassa occupazione femminile, anche se dal 1977 al 2011 è triplicata passando dal 5,2 al 17,7 %, le donne che lavorano (40 su 100) occupano livelli superiori contro il 10 % degli uomini.

L’Associazione delle imprenditrici algerine (Seve) è stata creata nel 1993 e il primo studio è stato realizzato nel 2009 dal Crasc (Centro di ricerca in antropologia sociale e culturale, diretto dalla ricercatrice Nouria Remaoun). La ricerca ha rilevato che nel 2007 erano 3.300 le imprenditrici contro 1.300 nel 1990, l’81% delle quali laureate e solo il 16 % aveva ottenuto un credito bancario.

Per superare queste difficoltà Yasmine Taya, presidente di Seve (sapere e voler intraprendere), ha invitato le donne ad approfittare delle misure adottate dal governo algerino per l’occupazione giovanile e ha avviato dei progetti di partenariato tra le imprese e le università.
La crescita dell’occupazione delle donne non è stata facile in paesi dove i movimenti islamisti volevano rinchiuderle in casa. Tuttavia la realtà del Maghreb ora è diversificata: se la Tunisia è alle prese con il processo rivoluzionario, il Marocco è stato solo lambito dalle proteste e l’Algeria fa eccezione. L’Algeria non solo non è stata contagiata dalle rivoluzioni ma non è stata finora nemmeno investita dalla crisi economica. Le ricchezze in idrocarburi hanno permesso di accumulare riserve in valuta, di mantenere il livello di sviluppo al 3% e di contenere la disoccupazione al di sotto del 10 %.

“Le donne non hanno molti capitali ma forniscono spesso le idee”, sostiene la marocchina Saloua Karkri-Belkeziz dirigente della Gfi informatica, di cui è stata la creatrice, e proprio nei giorni scorsi, il 30 agosto, è stata nominata Amministratrice e direttrice generale dell’azienda. La Gfi ha iniziato con 200 dipendenti e ora ha 10.000 collaboratori e un giro di affari di 750 milioni di euro (nel 2012).

Nel 2000 ha fondato l’Associazione delle donne imprenditrici marocchine (Afem) con una decina di donne. Nel 2010 ha festeggiato il decimo anniversario con 500 aderenti appartenenti ai vari settori dell’industria, dei servizi e dell’agroalimentare. “Quando ho cominciato – sostiene Saloua – non era facile incontrare imprenditrici, quando chiamavi per un appuntamento ti trattavano come una segretaria”. Ora le cose cominciano a cambiare e il tasso di imprese create da donne in Marocco è passato dal 5 % nel 2004 all’11% nel 2011.
In Tunisia le donne non potevano evitare i contraccolpi provocati dalla rivoluzione e dalla paralisi economica che ne è seguita. E questo anche in campo imprenditoriale, dove è uscita fortunatamente di scena la più spregiudicata donna d’affari: Leila Trabelsi, la moglie dell’ex dittatore.
Nel febbraio del 2012 l’Assemblea generale della Camera nazionale delle donne imprenditrici (Cnfce) ha eletto nuova presidente Raoudha Ben Saber. Non ci sono dati attendibili dopo la rivoluzione, il settore economico e produttivo è in attesa di un rilancio. Nel 2009 uno studio realizzato da Cawtar (Center for arab women training and research) aveva recensito 18.000 donne capo di imprese (di cui 1.500 nel settore agricolo) con più di 100.000 dipendenti. Ma molto resta da fare per recuperare il terreno perduto.

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