Good morning Kabul | Giuliana Sgrena
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Good morning Kabul

Dopo sette anni, Kabul è irriconoscibile: la zona delle ambasciate è tutta bunkerizzata, nel resto della città la ricostruzione è selvaggia. E i servizi mancano.

Good morning Kabul
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25 Marzo 2012 - 05.41


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Non avrei mai pensato di trovare un luogo più tremendo della Green zone di Baghdad, mi sbagliavo. A Kabul la zona delle ambasciate è diventata un luogo infernale. Girando tra i vari corridoi creati con i lastroni di cemento, che la globalizzazione ha reso familiari in tutti i luoghi di conflitto, sembra di essere sullo scenario di un film dell’orrore. Gli unici segni riconoscibili sono le targhe delle ambasciate. Alcune sono appena state costruite, come quella indiana, tutta laminato (almeno appare tale da lontano) grigio argentato con cupole di vetro, che molti ritengono non dureranno a lungo (nel senso che potrebbe essere il facile obiettivo di un attentato).

Del resto questa bunkerizzazione non garantisce la sicurezza, spesso ci sono scontri nelle zone limitrofe. Una zona militare con muraglioni coperti di rotoli di filo laminato si estende su due lati di una delle strade che attraversano la zona. Le macchine non possono entrare e quelle che lo possono fare devono continuamente superare sbarre controllate da militari. In gran parte la sicurezza è però affidata a agenzie private che impiegano anche afghani (come quelli che proteggono l’ambasciata italiana) oltre a contractors stranieri. Questo è un luogo ideale per il business dei contractor. Anche perché sono in pochi a fidarsi dell’esercito e della polizia afghani, alimentati dalle milizie dei signori della guerra che sono anche i trafficanti di droga oltre a esponenti del governo di Karzai.

Kabul è irriconoscibile dopo qualche anno di assenza e non per la coltre di polvere che si solleva dalle strade sterrate. La ricostruzione selvaggia ha trasformato la città distrutta dalle guerre in una capitale sfigurata dove ville dall’architettura discutibile che fa sfoggio di vetrate colorate e di colonne “romane” – simbolo della ricchezza accumulata con il traffico della droga e la corruzione – a catapecchie di fango e cumuli di macerie. Solo le baracche appollaiate sulle colline che circondano la città sono sempre le stesse.

Ricchezza (di pochi) e povertà (della maggior parte della popolazione) si sono ulteriormente approfondite. Ci si chiede dove sono finiti i soldi dei donatori. Il mistero è solo apparente se si pensa che l’Afghanistan è uno dei paesi più corrotti al mondo, secondo solo alla Somalia.

La sorte peggiore tocca ancora alle donne: l’ultimo passo è stato un documento degli Ulema che permette al marito di picchiare la moglie se non rispetta la sharia e vieta alle donne di avvicinarsi e di parlare a sconosciuti. Il documento è stato avallato da Karzai, pare per compiacere i negoziati con i taleban, che tuttavia hanno interrotto i colloqui con gli americani, dopo il massacro di Kandahar. Per evitare polemiche il documento nella versione inglese è stato tolto dal sito del governo. La contromossa del presidente Karzai è stato un appello a funzionari religiosi e a capi tribù perché incoraggino l’istruzione delle bambine ritenuta “vitale” per l’Afghanistan. Secondo i dati diffusi dal ministro dell’istruzione Ghulan Faruk Wardak nel 2010 erano 8,4 milioni i bambini scolarizzati, 30 per cento dei quali femmine. Ma sono ancora 9,5 milioni i bambini senza istruzione. Anche se ai tempi dei taleban le bambine non potevano nemmeno andare a scuola, la discriminazione delle femmine resta ancora alta. D’altro canto invece sono tornate in voga punizioni quali la lapidazione e la fustigazione, una donna di 22 anni è stata impiccata recentemente nella provincia di Ghur. Evidentemente l’impegno dell’Italia per la ricostruzione del sistema giudiziario non ha portato gli effetti auspicati.
Punizioni e violenze: le donne disperate si suicidano dandosi fuoco, vittime di stupri di gruppo (anche una bambina di otto anni è stata violentata mentre tornava da scuola), ragazze sfigurate con l’acido. La violenza contro le donne è in aumento, secondo la Commissione indipendente per i diritti umani. Sono fatti terribili, ma le famiglie hanno paura a sporgere denuncia. Spesso sono proprio le vittime della violenza ad essere punite. Come è successo a Gulnaz una ragazza di 21 anni che aveva denunciato di essere stata stuprata dal cugino del marito, un uomo di potere, che l’ha anche messa incinta. La donna è stata condannata a 20 anni per adulterio, pena poi ridotta a 12 anni, poi a tre dall’alta corte. Pene che avrebbe evitato se avesse sposato lo stupratore.
Comunque a dicembre è uscita dal carcere senza scontare la pena perché graziata da Karzai. A ottenere la grazia è stata l’avvocata americana Kimberley Motley, che ha deciso di assumere la difesa di Gulnaz. Kimberley Motley vive da quattro anni a Kabul, dove esercita la sua professione di avvocato ed è riuscita ad ottenere (unica straniera) la possibilità di difendere afghani in Tribunale.

Questo è l’Afghanistan dopo dieci anni di occupazione e in vista del ritiro delle truppe internazionali, auspicato dalla maggioranza degli afghani, il 74 per cento secondo il Washington Post, molti di più secondo le persone che incontriamo a Kabul. Anche se sono in molti a dubitare che il ritiro annunciato voglia dire l’abbandono dell’Afghanistan, resteranno comunque le basi militari.

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