Il Covid ha costretto l’hirak, il movimento rivoluzionario algerino, a sospendere le proprie manifestazioni, dopo oltre un anno di mobilitazioni settimanali, mentre il regime di Tebboune ha approfittato della pandemia per promuovere il progetto di «Nuova Algeria», definizione scippata alla rivolta.
Il tentativo di smantellare il ventennale regime di Bouteflika attraverso una revisione della costituzione, dopo quella del 2008 con la quale l’ex presidente aveva cancellato il limite dei due mandati presidenziali, sarà sottoposta a referendum il 1 novembre. Il nuovo testo è stato definito senza dibattito, come senza dibattito sarà la campagna per il referendum dalla quale sono escluse le opposizioni.
La riduzione dei mandati presidenziali e parlamentari a due sembra l’unica concessione evidente a un movimento che era nato proprio contro il quarto mandato per Bouteflika. Il presidente Tebboune che – subito dopo la sua contestata elezione nel dicembre del 2019 – aveva definito «benedetto» l’hirak non è però andato incontro alle rivendicazioni della piazza che voleva e vuole un cambiamento di sistema e l’avvio di un processo costituente per costruire uno stato di diritto e non militare. Tra l’altro gli episodi di corruzione tra i militari non fanno che aumentare la diffidenza tra gli algerini che per decenni avevano coltivato il mito dell’Esercito nazionale di liberazione.
Altri tempi.
Paradossalmente mentre la carta stabilisce una «costituzionalizzazione del movimento popolare del 22 febbraio 2019» il regime continua la sua implacabile repressione nei confronti dei sostenitori dell’hirak – una sessantina sono in carcere –, alcuni arrestati solo perché portavano la bandiera berbera. L’indipendenza della giustizia è uno dei temi all’ordine del giorno visto che finora ha operato in ottemperanza a regolamenti di conti con i fedeli a Bouteflika, includendo anche personaggi come il moujahid – combattente nella guerra di liberazione – Lakhdar Bouregaa o la leader del Partito dei lavoratori Louisa Hannoune, mentre resta in carcere preventivo – dal novembre scorso – Khalida Toumi, che fu ministra della cultura di Bouteflika. Lo scontro tra avvocati e magistrati è scoppiato nei giorni scorsi con due giorni di sciopero – il 30 settembre e 1 ottobre – delle toghe nere che hanno paralizzato la giustizia. È stata soprattutto la condanna del giornalista Khaled Drareni a due anni di carcere a provocare una reazione che finalmente ha raggiunto l’occidente, finora insensibile a una rivolta popolare e pacifica come non si è mai vista, non solo in Algeria. Ancora una volta è la libertà di stampa la vittima della rappresaglia di un regime che vuole confiscare il diritto di un popolo a decidere del proprio futuro. Ma i giornalisti algerini, che si riuniscono ogni settimana alla casa della stampa, affermano che «non abbasseranno le braccia».
Il futuro dell’Algeria è estremamente incerto. I mesi della pandemia hanno fortemente condizionato la situazione economica – già fortemente penalizzata dalla caduta dei prezzi degli idrocarburi – e sociale per la diminuzione del potere di acquisto della popolazione. Il relativo controllo del Covid è stato ottenuto con misure drastiche di confinamento: a fine settembre le frontiere algerine sono ancora chiuse, i trasporti aerei, marittimi e di collegamento tra wilaya restano sospesi, il sistema educativo non sarà ripreso prima dell’inizio di novembre. Il confinamento in casa dalle 23 alle 6 è stato prorogato fino a fine novembre nelle zone più colpite dal virus, comprese Algeri e Orano. I settori più colpiti dal confinamento sono: costruzioni, lavori pubblici, trasporti, commercio.
Le misure adottate dal governo per far fronte all’impatto del Covid sull’economia hanno portato a un deficit record del bilancio dello stato che supera il 15 per cento del Pil. Sarebbe questa, secondo economisti algerini, la causa della mancanza di liquidità. Le lunghe code davanti agli uffici postali proprio per mancanza di liquidità si sono sommate ad altri problemi come la mancanza di acqua e l’interruzione della fornitura di energia elettrica. Problemi, questi ultimi, attribuibili, secondo le ipotesi del governo, a «sabotaggi» e sui quali è stata aperta un’inchiesta. La difficoltà ai collegamenti internet ha contribuito a rendere più difficile l’isolamento.
In questa situazione la fuga in avanti del presidente Tebboune che vorrebbe accreditare l’immagine di una «Nuova Algeria» con il referendum sulla revisione della costituzione che prevede un rafforzamento dei suoi poteri, organizzato nonostante le restrizioni del Covid, non convince. La costituzione «non risolverà la crisi politica, senza il rispetto della sovranità popolare, proseguendo con la sua politica antipopolare che ha portato il paese al fallimento», sostiene un documento delle forze del Patto per l’alternativa democratica (Pad). L’opposizione alla nuova costituzione non riguarda tanto i contenuti ma la violazione degli stessi che il regime continua a perpetrare, come il rispetto della libertà di stampa e di opinione.
Anche la scelta della data è oggetto di contestazione: il 1 novembre, data dell’inizio della guerra di indipendenza, è patrimonio storico di tutti gli algerini e non può essere usurpata dal regime, sostiene l’opposizione. A rendere ancora più ambiguo l’intento del presidente sono gli altri appuntamenti del 1 novembre: Tabboune parteciperà all’inaugurazione della grande moschea di Algeri voluta da Bouteflika. Non solo viene strumentalizzata sia la religione che la rivoluzione algerina, ma si vuole celebrare un’opera che è il simbolo della corruzione, della dilapidazione di denaro pubblico (da 1 a 3 miliardi di euro, a seconda delle fonti) dei tempi di Bouteflika. È questa la «nuova Algeria»?
il manifesto 4 ottobre 2020