La dottrina (turca) di Tebboune | Giuliana Sgrena
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La dottrina (turca) di Tebboune

Le esercitazioni militari della Nato in Marocco, la Libia in transizione, lo scontro istituzionale in Tunisia, la situazione esplosiva nel Sahel, rendono l'Algeria vulnerabile

La dottrina (turca) di Tebboune
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Giuliana Sgrena Modifica articolo

12 Giugno 2021 - 22.57


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Le interviste concesse dal presidente algerino Abdelmajid Tebboune alla vigilia delle elezioni legislative al settimanale francese Point e alla tv del Qatar al Jazeera, i cui uffici di Algeri sono chiusi da parecchi anni, sono indicative delle nuove scelte del regime. L’apertura ai media internazionali non è una consuetudine per gli esponenti algerini allergici a ogni «interferenza straniera», ma ora l’Algeria «assediata» da conflitti e da esercitazioni militari è in cerca di nuovi alleati. Ai confini, in Marocco, è in corso una imponente esercitazione militare, l’African lion, con la partecipazione di Marocco, Usa, Gran Bretagna, Brasile, Canada, Tunisia, Senegal, Paesi Bassi, Italia e altri paesi Nato. La Spagna non partecipa perché le esercitazioni si svolgono anche nel Sahara occidentale (ex-colonia spagnola) occupato dal Marocco e lambiscono i territori algerini dove hanno trovato rifugio i sahrawi sfuggiti all’occupazione. La sovranità del Marocco sul Sahara occidentale è stata avallata da Trump, forse come riconoscimento per l’adesione al «patto di Abramo» con Israele, e non sarà Biden a metterla in discussione.

Il Marocco è stata una delle questioni poste dai giornalisti a Tebboune, il quale ha risposto che è sempre stato il Marocco l’aggressore. Le frontiere tra i due paesi sono chiuse dal 1994.

La scelta dei media cui concedere le interviste era mirata a trasmettere dei messaggi precisi. Alla Francia: «ciò che noi vogliamo è un ricordo rappacificato, riconosciuto e che ponga fine alla storia di un’Algeria come “terra nullius” civilizzata con la colonizzazione». I risentimenti verso Parigi, tuttavia, non avevano impedito fino a tempi molto recenti che la Francia fosse il primo partner commerciale di Algeri, recentemente superato dalla Turchia. E Tebboune ha voluto sottolineare questo dato contrapponendo all’eredità coloniale francese un «modello di investimento turco» che, a suo dire, non sottintende un accordo politico, ignorando il passato legato all’impero ottomano e le ambizioni sfrenate del presidente turco Erdogan che mira a rilanciare quel progetto includendo le ex province ottomane che si affacciano sul Mediterraneo. Questo atteggiamento comprensivo verso il «colonialismo turco morbido» sembra tuttavia più legato alla scadenza elettorale, dove è possibile un successo delle forze islamiste sostenute da Ankara, che dalla sottovalutazione delle mire di Erdogan. Un governo di «unità nazionale» formato da Fln, Rnd e forze islamiste, che escluderebbe le forze laiche e democratiche che boicottano il voto, avrebbe così la benedizione della Turchia.

Gli investimenti turchi in Algeria se alleviano la crisi economica non possono però cancellare i timori suscitati dall’intervento massiccio della Turchia in Libia. Le sfide a livello regionale sono state affrontate dal presidente Tebboune nell’intervista ad al Jazeera, che segna anche un avvicinamento al Qatar. Il presidente algerino ha rivelato che il nuovo premier libico Abdulhamid Dabaiba gli ha chiesto di prendere parte al cammino di riconciliazione della Libia. L’Algeria si era mostrata neutrale sul conflitto libico ma quando era in corso l’offensiva dell’Esercito nazionale libico per conquistare la capitale, Tebboune aveva detto che «Tripoli è una linea rossa che speriamo nessuno oltrepassi» e che l’Algeria non avrebbe mai accettato che dei «mercenari» occupassero la capitale libica, in tal caso sarebbe intervenuta «in un modo o nell’altro». Quale modo non è stato chiarito e nemmeno quali mercenari, quelli siriani dirottati sulla Libia dalla Turchia o quelli russi?

Comunque fino alla revisione della costituzione, approvata lo scorso 1 novembre, l’Algeria non poteva inviare proprie truppe all’estero ora, se il parlamento lo autorizza, può prendere parte a operazioni per il mantenimento della pace «nel quadro del rispetto dei principi e degli obiettivi delle Nazioni unite, dell’Unione africana e della Lega araba».

A preoccupare Algeri oltre al Marocco, alla Libia, alla Tunisia – che si trova in una situazione estremamente preoccupante di scontro istituzionale tra il presidente della repubblica e il primo ministro – è il Sahel, una polveriera, santuario dei gruppi terroristi che si finanziano con il traffico di droga, armi ed esseri umani, dove dilaga la corruzione e il saccheggio di materie prime, con regimi che cambiano con colpi di stato e la popolazione vive in uno stato di povertà endemica. La presenza di truppe internazionali – comprese forze speciali italiane – ha esasperato la popolazione, oltre che i problemi. Sia il Mali che il Niger sarebbero favorevoli a una presenza algerina nelle missioni Onu, per l’esperienza di lotta al terrorismo e per la conoscenza dei tuareg. E anche la Francia appoggia questa ipotesi forse perché, guarda caso, proprio giovedì ha annunciato la fine dell’operazione Barkhane e il ritiro di 5100 militari francesi impegnati nel Sahel dal 2014.

il manifesto 12 giugno 2021

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