I giovani tunisini che vogliono rischiare la vita, invece di attraversare il Mediterraneo su un mezzo di fortuna con la possibilità di finire in fondo al mare oppure rinchiusi in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) italiano, possono dirigersi in Siria per combattere con l”Esercito libero siriano. A offrire l”alternativa sono i salafiti, l”ala islamista più radicale.
L”arruolamento avviene nelle moschee, molte delle quali sono controllate dai salafiti (circa 400) non solo tunisini: molti imam arrivano dalla Siria e dai paesi del Golfo. Le moschee più note per questa attività sono al Fath, nel centro di Tunisi, Ennassr, Ettadhamen o la grande moschea di Ben Arous e molte altre. Succursali delle moschee sono le associazioni caritatevoli a capitale misto (siriano, libanese, qatariota…) come Karama wa Horrya, Arrahma, Horrya wa Insaf. A rivelare questi nomi sono i jihadisti tunisini che sono tornati a casa. Si torna solo quando, a causa di ferite che spesso provocano handicap, non si è più in grado di combattere.
Gli argomenti per convincere i giovani a partire sono i soliti: la necessità di aiutare i fratelli siriani nel jihad e l”esaltazione della guerra santa, la spartizione del bottino di guerra e, in caso di morte, la promessa del paradiso con le vergini. Ma i combattenti non devono più aspettare la morte per avere donne. Un religioso saudita, Mohamed al Arifi, ha, infatti, emesso una fatwa per rendere religiosamente compatibile il «matrimonio jihadista», ovvero un matrimonio di piacere (può dura solo qualche ora) che permetta ai combattenti di soddisfare i loro appetiti sessuali. È stata stabilita anche l”età delle ragazze: dai 14 anni in su. Lo sfruttamento sessuale è stato scoperto dopo che numerose famiglie tunisine avevano denunciato la scomparsa di ragazze giovani. Poi un rapporto diffuso dalla stampa araba ha confermato l”esistenza delle «schiave del sesso». Quando non bastano le tunisine i jihadisti si rifanno con le ragazze rifugiate nei campi profughi siriani in Giordania, le rapiscono e le stuprano, come ha rivelato un reportage della tv britannica Channel 4.
Dopo l”arruolamento vi è la preparazione religiosa – un vero e proprio lavaggio del cervello – che estranea l”aspirante jihadista dalla famiglia. Molte famiglie testimoniano questo cambiamento: «Non era più come prima, non parlava più, si chiudeva nella sua camera, era inaccessibile, era diventato l”ombra di se stesso. Una vera metamorfosi: sguardo, gesti, obiettivi, sentimenti…non mi ascoltava più», racconta al quotidiano tunisino La Presse una madre disperata. Dopo la morte del figlio maggiore in Siria ora è il minore che sta seguendo la sua strada. La famiglia di Y. abita a Le Kram – un quartiere di Tunisi – dove nello scorso inverno le partenze sono state numerose. Non si tratta solo di giovani ma anche di padri di famiglia che abbandonano la moglie e bambini piccoli senza nessun sostentamento.
Ci sono però anche famiglie che hanno approfittato della partenza di un familiare ottenendo dei soldi che hanno permesso loro di aprire un negozio, comprare o migliorare la casa, oppure semplicemente di sopravvivere. A volte è un parente anziano a speculare sull”arruolamento di un nipote giovane.
«Ma per la maggior parte non è così – ci racconta una giornalista tunisina -, questo business favorisce soprattutto i reclutatori e anche il governo». L”accusa è rivolta al leader islamista Rachid Ghannouchi. Presidente di Ennahdha – senza incarico di governo ma vero ispiratore della politica tunisina, soprattutto quella estera, per i suoi legami con i regimi del Golfo – Ghannouchi è accusato di essere il vero responsabile dell”operazione. È lui, infatti, ad avere rapporti con i salafiti. Il leader di Ennahdha nega il coinvolgimento del suo partito: «Non consigliamo» questi giovani a partire – aggiunge il ministro degli Affari religiosi – ma «non abbiamo il diritto di impedirglielo». Tuttavia un simile reclutamento – con partenza dall”aeroporto di Tunisi – non può certo passare inosservato, quindi la complicità delle autorità è evidente. Non solo.
L”organizzazione, il reclutamento, l”addestramento, il finanziamento e la spedizione in Siria sono contenuti nell”accordo Burhane Ghalioun-Mustafa Abdeljelil del dicembre 2011. L”accordo prevede una cooperazione militare tra le “rivoluzioni” libica e siriana, al quale i salafiti tunisini ed Ennahdha hanno aderito. È stato lo stesso Ghannouchi a partecipare a un incontro che si è tenuto a Tripoli, l”11 dicembre 2011, nel corso del quale è stato sancito l”accordo. Al summit erano presenti anche il teologo dei Fratelli musulmani Youssef Khardhaoui, di origini egiziane ma che vive a Doha, e il ministro degli esteri del Qatar, che rivelano la sponsorizzazione del Qatar a tutta l”operazione.
Prima della Siria i jihadisti tunisini erano impegnati in Libia, il paese confinante quindi senza problemi di accesso, ed è proprio qui che si sono costituiti i primi gruppi partiti per la Siria. Ancora adesso i tunisini, dopo l”arruolamento, partono per la Libia, dove avviene l”addestramento militare. Infine il trasferimento in Turchia, da dove si entra in Siria.
La famiglia – i giovani sono spesso studenti, ma vi sono anche laureati a volte con un buon lavoro – viene abbandonata improvvisamente, senza nessuna comunicazione. Poi arriva una telefonata dalla Libia, dalla Turchia, l”ultima dalla Siria. Tutte le chiamate sono fatte da numeri non richiamabili. Poi più nulla.
Le famiglie spesso cercano notizie del figlio, fratello, marito su Internet, facebook. Inutilmente, i jihadisti cambiano nome e diventano abu Yousef, abu Khaled, abu Mokdad, etc. Poi, improvvisamente, arriva una chiamata da Tunisi da uno che si definisce un «fratello» e annuncia la morte del congiunto, la famiglia deve essere orgogliosa di avere un martire da commemorare, uno che ha combattuto nella Jabhat al Nusra. A volte, il giorno dopo, il «fratello» fa scivolare sotto la porta un cd con il filmato dei funerali del martire.
Dunque, meglio non avere notizie, ma le famiglie sono sempre più angosciate e nelle settimane scorse sono uscite allo scoperto, anche se non vogliono far conoscere i loro nomi perché temono rappresaglie da parte dei salafiti.
Non si conoscono i numeri esatti, le fonti tunisine parlano di oltre 6.000 jihadisti tunisini in Siria, per la stampa algerina invece sarebbero 12.000, comunque la maggior parte dei combattenti stranieri a fianco dell”Esercito libero siriano sarebbero libanesi e tunisini.
I tunisini non sono nuovi a simili avventure militari, le prime spedizioni sono state per la liberazione della Palestina, poi in Libano, in Iraq e soprattutto in Afghanistan e persino in Cecenia. Tuttavia le prime spedizioni non sono paragonabili all”attuale flusso verso la Siria.
Nemmeno un appello di Abu Yadh, salafita e leader di Ansar Achariaa, è riuscito a fermare i jihadisti. Temendo un complotto americano, Abu Yadh, che in passato aveva incitato al jihad, ora voleva fermare le partenze con un appello ai giovani «a non andare a morire in Siria». Inutilmente.
Ad attrarre i jihadisti, oltre alla propaganda che passa anche attraverso le tv, le promesse dei salafiti, le facilitazioni favorite dalla mancanza di controlli alla frontiera, vi è anche il fascino del jihad (guerra santa) e soprattutto l”idea di andare a combattere nella Jabhat al Nusra (il fronte al Nusra), un”organizzazione legata ad al Qaeda in Iraq. Creata il 23 gennaio 2012, viene descritta come la componente più aggressiva e resistente delle forze ribelli, i commando d”élite formati quasi totalmente da jihadisti non siriani. Si servono anche di kamikaze. Determinanti sono stati i combattenti di Jabhat al Nusra nella battaglia di Aleppo.
L”obiettivo di questo fronte è rovesciare il regime di Assad per formare uno stato islamico con l”applicazione della sharia e restaurare il califfato. E dovunque arrivano mettono in pratica i loro obiettivi. Nei quartieri di Aleppo dove si sono accampati esponendo la bandiera nera del jihad, hanno vietato il fumo, l”alcol, imposto alle donne il velo. Se sei etichettato come kafir (infedele, magari solo perché porti i jeans) non puoi più fare niente, nemmeno uscire di casa, ha testimoniato un profugo scappato in Turchia. Il comandante militare di Jabhat al Nusra è Abu Mohamed al Golani, ma il fronte ha anche un commissario religioso, uno sheikh, una sorta di supervisore.
Il problema per la Tunisia non è solo l”arruolamento dei giovani per il jihad in Siria e la possibilità, o la probabilità, che possano morire nei combattimenti, ma capire cosa succederà quando torneranno a casa se non dovessero trovare un”altra causa per arruolarsi. Finirà come in Algeria o Egitto con il ritorno dei jihadisti dal fronte afghano? Gli ingredienti non mancano: la Tunisia è diventato un punto di snodo di trafficanti di armi, droga e riciclaggio di denaro sporco che alimenta il terrorismo.
il manifesto, 5 aprile 2013‘