Sono passati oltre quattro mesi da quando Rossella Urru, insieme a due cooperanti spagnoli, è stata rapita nei campi profughi sahrawi nell’Algeria occidentale. Gli appelli per la sua liberazione si moltiplicano in vista dell’8 marzo. A molte voci vorrei unire anche la mia, perché so quanto è importante non essere abbandonati in situazioni simili. Anche senza avere notizie, durante il mio sequestro, intuivo la solidarietà che mi circondava e mi aiutava a resistere. Sono sicura che Rossella e i suoi compagni riusciranno a sentire la nostra voce se saremo in tanti e continueremo a chiedere la sua liberazione finché non tornerà tra di noi.
In luoghi difficili o di conflitto (ormai quasi ovunque) il nostro lavoro – di giornalista o cooperante, non è molto diverso – è diventato sempre più pericoloso . La vita di un occidentale può diventare il prezzo di un riscatto. Un gruzzolo di soldi per comprare armi o un ricatto politico.
Conosco la difficile vita dei sahrawi nei campi di Tindouf fin dalla mia prima visita nel 1981. I profughi vivono in tende piantate nel deserto, gelido in inverno e torrido in estate. Una popolazione che vive ai limiti della sopravvivenza per aver diritto a un pezzo di terra, il Sahara occidentale, l’ex colonia spagnola occupata dal Marocco. La primavera araba è cominciata proprio dalla protesta non violenta dei sahrawi che vivono sotto occupazione, nell’autunno del 2010, ma purtroppo non ha avuto il successo di altre rivolte.
La lotta del popolo sahrawi è sempre stata esemplare, le difficoltà estreme non hanno mai portato il Fronte polisario (che guida la lotta del popolo sahrawi fin dal 1976) a fare scelte violente. I rifugiati, circa 200mila, vivono soprattutto di aiuti forniti da ong internazionali. Il sequestro dei tre cooperanti, oltre a colpire i tre ragazzi finiti nelle mani – secondo quanto è dato sapere – di una frangia di al Qaeda Maghreb, vuole screditare anche i sahrawi della Rasd (Repubblica araba sahrawi democratica) cercando di isolarli dalla comunità internazionale. Senza la quale la vita sarebbe impossibile. Mentre le speranze di una soluzione del conflitto con il Marocco attraverso la mediazione dell’Onu sono sempre più esigue.
Dobbiamo liberare Rossella per liberare i sahrawi. Non è la prima volta che uno slogan può coniugare la richiesta di libertà di ostaggi con la fine di un’occupazione. È già accaduto in Iraq, può accadere anche nel Sahara occidentale.