È un crimine di guerra: intervenire in un paese con il pretesto di eliminare i responsabili dell’attacco dell’11 settembre 2001, che, ricordiamo, non erano afghani ma sauditi, provocando migliaia di morti (stranieri e, soprattutto, afghani). I responsabili dell’attacco erano legati a Osama bin Laden, che ha vissuto in Afghanistan ma è stato ucciso in una situazione discutibile in Pakistan nel 2011, Comunque l’intervento occidentale in Afghanistan non ha sgominato al Qaeda tanto meno la sua costola evoluta nello Stato islamico. L’intervento occidentale non ha eliminato i taleban, li ha solo allontanati dal potere nel 2001 facilitandone poi il ritorno nel 2021. Del resto gli Stati uniti e loro alleati avevano addestrato, organizzato, finanziato – insieme ad Arabia saudita e Pakistan – i taleban perché potessero arrivare al potere, controllare tutto il paese e permettere l’arrivo del gas turkmeno a Karachi. I tagiki di Massud si erano opposti con l’Alleanza del nord impedendo che i taleban prendessero anche il Panshir assumendo il controllo totale del passaggio degli oleodotti. L’Afghanistan è importante – anche se ora si sminuisce l’importanza – anche strategicamente perché confina con la Cina, l’Iran, il Pakistan e le ex repubbliche sovietiche passate sotto il controllo della Nato.
Fallito l’obiettivo, perso l’interesse perché gli Usa combattono la Cina e la Russia su altri terreni, le spese militari (85 miliardi per gli Usa, 8,5 per l’Italia) e i morti sul terreno hanno indotto Biden a mantenere il programma di ritiro di Trump.
Non regge, come molti sostengono, il paragone con Saigon, dove gli americani sono stati messi in fuga dai viet-cong che hanno assunto il potere e ricostruito un paese dalle fondamenta, in Afghanistan l’assedio militare occidentale ha allontanato temporaneamente i taleban dal potere ma non sono mai stati combattuti ideologicamente e questo è dimostrato dal loro rapido avanzamento nella riconquista del paese. L’esercito – addestrato dagli occidentali – si è arreso senza colpo ferire, il presidente è fuggito – per evitare un bagno di sangue – la popolazione civile è in ostaggio dei taleban.
Le uniche similitudini con la guerra in Vietnam sono la durata, 20 anni, e il numero di profughi. Ma i profughi afghani non avranno lo stesso sostegno e accoglienza dei boat people vietnamiti. Allora lo scontro era ideologico, oggi nessuno è in grado di costruire una barriera nei confronti dell’islamismo più radicale, oscurantista e feroce. Gli Usa avevano già trattato con i taleban a Doha, promettendo loro il ritorno al potere in coabitazione con il presidente Ghani. Si è visto da subito che i taleban non accettavano condizioni e infatti non le hanno rispettate visto che avevano la strada spianata verso Kabul. Coloro che ancora vogliono sostenere che i taleban sono cambiati, che, come dicono nei loro volantini, rispetteranno gli occidentali e la popolazione, sono stati smentiti dai fatti. Dove sono arrivati hanno ucciso e saccheggiato. Il fatto che non ci sia nessuna opposizione – per scelta o per incapacità – gioca a favore dei taleban, che possono vantare una sorta di «egemonia». Tra chi si arrende e chi si oppone la sorte peggiore ovviamente toccherà a chi si oppone, gli stessi che si sono opposti all’occupazione straniera, che lottano per una società democratica costruita dal basso.
Abbandonare ora la popolazione afghana, la società civile, le donne, gli orfani, è da codardi. Noi che ci siamo sempre opposti alla guerra, agli interventi militari, alla cooperazione che ha favorito solo i corrotti, che abbiamo dato sostegno alle associazioni realmente bisognose di aiuto, avremmo dovuto – e forse potremmo ancora farlo – dire che bisogna restare in Afghanistan, non come è stato fatto negli ultimi vent’anni, ma come forza di interposizione che impedisca il saccheggio, la violenza e il terrore imposto dai taleban. Non basta, come stanno facendo molti appelli, chiedere di aprire le frontiere all’esodo, l’Afghanistan è di tutti gli afghani e non dei taleban. Non possiamo lasciare l’Afghanistan senza testimoni, dovremmo chiedere l’apertura delle frontiere per permettere l’entrata di forze pacifiche che si oppongono ai metodi dei taleban. Mi ricordo come erano contrariati dalla presenza di testimoni stranieri quando ero stata a Kabul alla fine degli anni 90.
E poi, è incredibile che la Rai, servizio pubblico pagato dai cittadini, non abbia mandato un inviato per seguire gli eventi epocali e si affidi alle corrispondenze da Istanbul, anche se ormai l’aeroporto di Kabul è in mano ai turchi e gli italiani si affidino alla Turkish Airlines per l’evacuazione dei propri cittadini e collaboratori afghani.
il manifesto 17 agosto 2021