Piazza Tahrir a Baghdad | Giuliana Sgrena
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Piazza Tahrir a Baghdad

Una rivolta ignorata dalla stampa. Le repressione di al Maliki

Piazza Tahrir a Baghdad
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4 Ottobre 2011 - 11.52


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Anche Baghdad ha la sua piazza Tahrir. La rivolta araba è arrivata in Iraq, da mesi, dal febbraio scorso. Ma nessuno né parla. Forse perché la repressione del regime di Nuri al Maliki colpisce soprattutto i giornalisti, proprio coloro che l”informazione dovrebbero farla.
Ma anche i giornalisti stranieri tacciono. Forse non si vuole disturbare la “exit strategy” americana. Gli Usa lasceranno il paese entro la fine dell”anno. Non tutti: tra soldati “non combattenti”, che resteranno per addestrare i soldati iracheni, le forze a protezione delle varie strutture Usa – compresa la mastodontica ambasciata – , le nove basi installate nel paese e i contractors si calcola che resteranno in Iraq circa 150.000 stranieri armati.
Nessun politico mette in discussione il ritiro Usa, sarebbe troppo impopolare chiedere un rinvio, dunque si fanno gli accordi sottobanco.
Intanto i giovani e le donne – contagiati da quanto succede negli altri paesi arabi – scendono in piazza per chiedere migliori condizioni di vita (l”elettricità è ancora limitata a tre ore al giorno, mancano acqua, trasporti, servizi sanitari), libertà di espressione e democrazia che passano attraverso una riforma del regime al potere. Il regime risponde con la repressione sanguinosa liquidando i manifestanti come terroristi di al Qaeda o ex baathisti. Il numero dei morti è sconosciuto, ma certamente alto, e non risparmia i giornalisti. Difficile controllare, si conoscono solo i casi più clamorosi.
L”8 settembre, un giornalista, Hadi al Mahdi di 44 anni, è stato assassinato nella sua abitazione a Karada, la zona commerciale di Baghdad. Il giorno dopo doveva partecipare alla protesta in piazza Tahrir, che aveva contribuito a organizzare attraverso i social networks. Aveva ricevuto diverse minacce. Su Facebook aveva scritto: “sono tre giorni che vivo nel terrore. Ricevo continuamente telefonate che dicono che ci saranno arresti tra i manifestanti”. Hadi al Mahdi, che fino a due mesi prima del suo assassinio aveva condotto una famosa trasmissione su radio Demozy, che trattava in modo irriverente i politici ed era stato costretto a interromperla per l”intervento dello stesso presidente al Maliki. Mahdi era già stato arrestato all”indomani della manifestazione del 25 febbraio (la prima a Baghdad, chiamata il giorno della collera) insieme ad altri tre giornalisti, torturato, e poi rilasciato senza nessuna accusa.
Secondo il presidente dell”Osservatorio per la libertà di stampa in Iraq, Zyad al Ajili, sono 160 i giornalisti arrestati nei cinque giorni successivi alla manifestazione. L”ufficio dell”Osservatorio – che denuncia da anni le violenze, i soprusi, le uccisioni di giornalisti (sono 340 dal 2003) – è stato perquisito e sono stati portati via i dossier e gli hard disk dei computer.
“Abbiamo paura come succedeva ai tempi di Saddam Hussein, sostiene Ghada al Amely, manager del giornale indipendente al Mada, il primo quotidiano iracheno. Dopo queste dichiarazioni, in luglio la sede del giornale è stata perquisita e un funzionario del ministero degli interni ha avvisato la manager di stare più attenta a quello che il suo giornale pubblica. Ora è sotto processo, denunciata per diffamazione dal generale Qassim Atta, portavoce del Comando delle operazioni di sicurezza di Baghdad, controllato da al Maliki. Atta chiede 7 milioni di dollari di risarcimento, che rappresenterebbero la chiusura del giornale iracheno più prestigioso.
In agosto il parlamento iracheno ha varato una legge sulla stampa che avrebbe dovuto proteggere i giornalisti e invece, in contraddizione con la stessa costituzione, protegge il governo contro i giornalisti impedendo loro di fare il loro lavoro, usando il codice penale per impedire inchieste sulla corruzione e sull”attività del governo. Che da parte sua usa la Commissione per la comunicazione e i media, creata nel 2004 e che avrebbe dovuto aprire la strada alla libertà di stampa, per diffondere la propaganda del governo, così come l”Iraqi media tv, più conosciuta come “Maliki tv”.

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