Quale futuro per l'Iraq? | Giuliana Sgrena
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Quale futuro per l'Iraq?

Gli assassinii del generale Soleimani e di al Muhandis sono serviti a soffiare sul Medioriente in fiamme da anni. Le vittime dell'escalation saranno i movimenti di opposizione in Iran e Iraq.

Quale futuro per l'Iraq?
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14 Gennaio 2020 - 16.43


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Jabbar Yassin Hussin *

 Gli assassinii del generale Soleimani e del vice presidente Al Muhandis de Elhahd Eshabi (Gruppo armato sciita del corpo militare iracheno) riempiranno una pagina dell’antico libro delle profezie irachene, «Epiche e tribolazioni». Questi assassinii aggiungono un nuovo capitolo alla storia dell’Iraq: le ultime generazioni hanno vissuto un periodo terribile durato settant’anni. Questo sarà probabilmente l’avvenimento più importante di questo decennio, almeno per l’Iraq e la geografia araba, persiana e turca. In breve, questo avvenimento e le sue conseguenze soffieranno sulle braci dell’incendio del Medio oriente già in fiamme da diversi anni.

La questione più importante oggi è: chi è il vincitore e chi è il perdente in questa farsa mortale?

La battaglia distruttrice si svilupperà in Iraq tra gli Stati uniti e i suoi alleati e l’Impero della repubblica islamica d’Iran. Ora comincerà il preludio  dello scontro. La rivolta popolare irachena in corso dall’inizio di ottobre, con centinaia di morti e migliaia di feriti, sarà la prima vittima e sarà stata inutile. Le minacce di vendetta della folla e delle milizie armate del partito sciita filo-iraniano da una parte, e le minacce americane dall’altra, saranno certamente realizzate sul suolo iracheno, e lasceranno il paese in uno stato di guerra e di scontro permanente. Di conseguenza, le manifestazioni si calmeranno, ridotte a dei mormorii sotto il tuono dei missili e i ruggiti degli aerei americani. Parallelamente, gli avvenimenti sanguinosi, l’emozione e la collera, metteranno la folla e i gruppi armati dei partiti religiosi in primo piano, rispetto allo Stato, il suo esercito e gli apparati di sicurezza. Così il parlamento, la presidenza del consiglio dei ministri saranno privati di potere di decisione. Le ultime parole saranno la traduzione dell’entusiasmo e del desiderio di vendetta per l’«onore perduto» degli sciiti in Iraq e in Iran. Questo rappresenta la fine di quello che resta dello Stato iracheno, incapace di intraprendere uno sforzo politico e militare. Forse il vecchio slogan «Tutto per la battaglia» ritornerà automaticamente al centro del caos che colpirà il paese dei due fiumi, questo porterà alla creazione di una nuova forza dottrinaria sciita in Iraq.

La Repubblica islamica d’Iran aspetterà, come d’abitudine nella storia antica e moderna, per la sua rivincita contro l’assassinato di Qasim Soleimani. Inevitabilmente, avrà prima una riflessione approfondita sui suoi mezzi. Allora forse si assisterà all’inizio di un nuovo stile di guerra con gli Stati uniti e i loro alleati nella regione. L’Iran si è sempre comportato innanzitutto come uno stato che ha propri interessi, mettendo da parte l’Internazionale sciita. La risposta iraniana sarà lenta e sarà sperimentata sul territorio iracheno, siriano, libanese e yemenita e forse anche in altri paesi, prima di uno scontro diretto con «il grande Satana». Non dimentichiamo che l’Iraq è sempre stato un terreno favorevole per i persiani, nelle loro multiple espansioni verso l’ovest, dopo Dario il grande, nel terzo secolo a.c., Kambis e Tahmaseb poi Khomeini nel ventesimo secolo. La storia strategica iraniana è sempre in auge e i due mari, Rosso e Mediterraneo, restano lo spazio vitale per ogni espansione persiana verso ovest. Il progetto iraniano in Iraq è sempre il punto di partenza del progetto dell’impero della repubblica islamica. In conclusione, l’Iran attuerà delle rappresaglie decisive solo dopo aver testato la resistenza del nemico sul suolo iracheno. Gli Stati uniti d’America, nonostante l’ambizione di Trump e della sua squadra, non si lanceranno in una guerra aperta contro l’Iran. La guerra contro l’Iran non è come una passeggiata in Iraq. L’Iran è un paese dalla geografia molto complessa, vicina alle potenze cinese e russa, e il popolo iraniano, nonostante il suo rifiuto del regime, è un popolo con sentimenti nazionalisti radicati. Non dimentichiamo che l’Iran, nel corso della sua storia, non è mai stato invaso se non per qualche anno e in rare occasioni. In più, oggi, è all’apogeo della sua potenza militare.  I centri decisionali americani sanno che l’Iran è l’immagine della dea malefica «Shiva» della leggenda indiana. Se danza, danza con le sei braccia: Iraq, Siria, Libano, Gaza, Yemen, Afghanistan… Per questo gli Stati uniti non oseranno. Una guerra, nei nostri giorni, provocherebbe una grande crisi petrolifera, più grave di quella degli anni 70. Inoltre, quest’anno, gli economisti annunciano una crisi economica mondiale, l’economia americana sarà la prima vittima.

La situazione irachena è la più drammatica, perché le soluzioni sembrano lontane e confuse. Un colpo di stato militare e un governo d’emergenza non funzionano e sembrano irrealizzabili, anche se una parte dell’amministrazione americana lo vede come una soluzione temporanea. Questo porterebbe la regione a una specie di vietnamizzazione, che è terminata con una disfatta schiacciante della presenza americana in Indocina. Un nuovo governo in Iraq, come previsto e atteso, è diventato, per alcuni, un souvenir dell’anno terminato, soprattutto se le manifestazioni spariranno. Forse l’attuale governo di Adel Abdul Mahdi continuerà a gestire la crisi fino a nuovo ordine?

Nell’attesa l’Iraq e il suo popolo continueranno la loro vita quotidiana sotto le nubi di disperazione, il rumore delle bombe e i pianti sotto le tende erette per i «martiri», in una sinfonia sanguinosa, la musica più spregevole orchestrata dalla storia.

*poeta e scrittore iracheno

 

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