La rivolta araba ha investito l”Arabia saudita? Purtroppo no. Ma, probabilmente, la paura del contagio ha indotto re Abdallah – o i suoi consiglieri – ad annunciare il voto per le donne (e il diritto ad essere elette) nelle prossime elezioni amministrative del 2015 e anche la possibilità di essere nominate nel Majlis ash-shura, il consiglio consultivo (una sorta di parlamento senza poteri decisionali i cui membri sono nominati dal re). Un risultato apprezzato dalle donne che si battono ormai da vent”anni per i loro diritti e anche dagli intellettuali che hanno firmato un appello in cui sostengono il boicottaggio delle elezioni del 29 settembre proprio per l”assenza delle donne.
C”è chi esulta per il risultato «storico» e chi plaude «con riserva». Qualsiasi cambiamento nella medioevale penisola araba risulta rivoluzionario, anche se annunciato con 4 anni di anticipo rispetto alla sua applicazione. Che potrebbe essere anche rinviata. Come è già avvenuto nelle elezioni amministrative del 2005, quando erano stati accampati motivi burocratici per impedire il voto alle donne, promesso allora per quelle successive del 2009, poi rinviate di due anni, senza che fossero eliminati gli ostacoli, soprattutto la costruzione di doppi seggi elettorali, che ancora oggi impediscono alle donne di partecipare. Cabine separate per il voto esistono anche in altri paesi arabi, ma in Arabia saudita la segregazione sessuale è totale. Da questo punto di vista la partecipazione al voto e, soprattutto, la possibilità di essere elette potrebbe costituire una prima breccia per rompere questa separazione totale tra maschi e femmine. Anche se, finora, le poche donne nominate dal re come consulenti del Majlis ash Shura, sono tenute in una stanza separata da dove, attraverso un vetro, possono vedere i consiglieri riuniti ma senza essere viste.
Il diritto di voto, anche se verrà, non basta. Le donne saudite sono delle «minori» che vivono sotto la tutela di un maschio padrone che deve autorizzare qualsiasi loro movimento, compresa la possibilità di lavorare, per esercitare quei pochi mestieri loro concessi, sempre in un regime di apartheid. All”estero possono andare solo se accompagnate e in Arabia saudita alle donne è vietato guidare, perché questo darebbe loro troppa libertà. E in un paese dove non esistono servizi pubblici, senza macchina non ti puoi muovere. Per farlo devi avere una macchina con autista, scelto dal marito. Alle donne è vietato anche prendere un taxi, se non sono accompagnate da un parente maschio.
Una via di fuga per le donne saudite sono i grandi magazzini dove ci sono piani interi loro riservati, e se sono misti c”è la polizia per la prevenzione del vizio a impedire contatti e sguardi provocanti. Un nuovo modo di evasione, soprattutto per le più giovani è diventato internet. I giovani, che prima per comunicare erano costretti a passarsi clandestinamente cassette registrate, ora possono contattarsi direttamente. Tanto a scegliere chi dovranno sposare sarà sempre la famiglia. Se non resistono all”astinenza da rapporti sessuali i maschi possono ricorrere ai matrimoni di piacere o temporanei, usanza sciita fatta propria anche dai sunniti, senza compromettere il loro futuro. E per procurarsi una partner ci sono siti ad hoc.
Le maggiori spinte al cambiamento vengono dai giovani collegati in rete alle rivolte arabe (che hanno visto ovunque un forte protagonismo delle donne) e da alcuni esponenti progressisti della casa reale. Come sempre le élite hanno maggiori strumenti per esprimere il loro dissenso, la voglia di cambiamento e per svelare l”ipocrisia di un regime che viola i diritti umani con la complicità dell”occidente.
‘
Una breccia nell''apartheid'
Il voto alle donne saudite
Redazione Modifica articolo
20 Settembre 2011 - 11.52
ATF
Native
Articoli correlati