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L'Italia scarica sulla Tunisia rifiuti pericolosi

Arrestato il ministro dell'ambiente Araoui, appena dimissionato, e altri responsabili del ministero e delle dogane. I rifiuti spediti dalla società italiana Sviluppo risorse ambientali alla tunisina Soreplast

L'Italia scarica sulla Tunisia rifiuti pericolosi
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Giuliana Sgrena Modifica articolo

23 Dicembre 2020 - 15.36


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È il più grande scandalo ecologico nella storia della Tunisia quello che lunedì ha portato all’arresto del ministro dell’Ambiente Mustapha Araoui, dimissionato il giorno prima dal governo. Ma il presidente della Commissione del buon governo nel parlamento tunisino, Badreddine Gamoudi, incaricato del dossier sui rifiuti italiani, ha rimproverato al primo ministro Mechichi di aver aspettato che fosse emesso il mandato di cattura per estromettere il ministro dell’ambiente, nonostante le prove a suo carico fossero evidenti.

 

 

LA «RIFIUTI CONNECTION» è un combinato disposto di corruzione e traffici illeciti: l’importazione in Tunisia di rifiuti pericolosi «esportati» dall’Italia. L’inizio dell’indagine risale ai primi di novembre quando la tv privata El Hiwar Ettounsi aveva denunciato l’arrivo in Tunisia di 70 container con 120 tonnellate di rifiuti provenienti dall’Italia, mentre altre 200 tonnellate sono in attesa di essere smistate nel porto di Sousse, nel sud della Tunisia. Nei container materie plastiche, rifiuti ospedalieri, centraline elettriche, scarti industriali, rifiuti domestici, ovvero rifiuti pericolosi, spediti dalla Sviluppo risorse ambientali Srl, società con sede nella provincia di Salerno. A riceverli la Soreplast, una società di Sousse, che aveva ripreso l’attività dopo un periodo di congelamento, ma autorizzata solo a riciclare rifiuti plastici industriali destinati all’esportazione.

LA SOREPLAST non aveva ottenuto nessuna autorizzazione all’importazione dei rifiuti, almeno secondo quanto aveva affermato il portavoce del ministro Araoui, prima che fosse dimesso. La società tunisina, secondo l’agenzia France presse, all’arrivo dei container aveva chiesto l’autorizzazione per l’importazione di «rifiuti plastici post-industriali non pericolosi per effettuare operazioni di riciclaggio e poi riesportarli verso l’Europa». In realtà il contratto siglato dalla Soreplast con la Sviluppo risorse ambientali Srl aveva per oggetto «il recupero di rifiuti e la loro eliminazione» da parte della società tunisina. Il contratto prevedeva l’eliminazione di un massimo di 120.000 tonnellate al prezzo di 48 euro per tonnellata, un affare di quasi 6 milioni di euro.

Non solo l’importazione, almeno ufficialmente, non era autorizzata – l’autorizzazione è richiesta dalle leggi tunisine e internazionali – ma anche l’obiettivo stabilito dal contratto non era legale. Come è stato possibile allora che i primi 70 container siano entrati nel porto e, nonostante la decisione della dogana di rispedirli indietro (l’8 luglio), siano ancora lì? Di chi è la responsabilità?

MINISTERO DELL’AMBIENTE e dogana si rimpallano la responsabilità, mentre gli arresti (undici più l’ex ministro Araoui) riguardano entrambe le istituzioni oltre all’Agenzia per la gestione dei rifiuti. L’inchiesta si estende a 23 persone e dovrà comparire davanti alla giustizia anche il precedente ministro dell’Ambiente, Chokri Bel Hassen.

«Questo caso dimostra che esistono grandi lobby della corruzione» sostiene Hamdi Chebaane, esperto in valorizzazione dei rifiuti ed esponente della coalizione Tunisie Verte. Secondo Chebaane, il ministero dell’Ambiente ha ricevuto negli ultimi anni molte pressioni da parte di uomini d’affari per permettere l’importazione di rifiuti, ma è la prima volta che un caso simile viene svelato.

Questo «affair» mostra quanto i traffici illeciti di rifiuti abbiano una vasta ramificazione, che è aumentata con l’approvazione di leggi più restrittive in Europa, e che cerchino nuovi orizzonti dopo che l’Asia, una volta discarica dell’occidente, è diventata più reticente.

È UN CRIMINE che i paesi ricchi scarichino sui paesi più poveri e in via di sviluppo – che non sono in grado di trattarli – i loro rifiuti tossici, con tutte le conseguenze sul territorio e sulla popolazione.

Tanto più preoccupante è che spesso questi paesi non sono nemmeno in grado di smaltire i propri rifiuti. Questo succede anche in Tunisia. Secondo un rapporto recente della Banca mondiale, le infrastrutture tunisine non sono in grado di smaltire i rifiuti: nella capitale solo il 61% dei rifiuti viene raccolto e la maggior parte viene poi depositata in discariche a cielo aperto.

il manifesto 23 dicembre 2020

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