A quattro anni dall’assassinio, avvenuto il 6 febbraio del 2013, la morte di Chokri Balaid non ha ancora un responsabile. Per ricordare quello che la vedova Basma Khalfaoui ha definito un «crimine di stato» sono state indette quattro giornate – dal 5 all’8 febbraio – di celebrazioni «contro l’oblio».
Ieri, nel luogo dove il dirigente del Fronte popolare è stato assassinato, davanti casa sua, si sono riuniti i suoi compagni, molti rappresentanti della società civile e gli studenti della scuola dove Belaid insegnava. Era presente anche il capo del governo, Youssef Chahed, che ha lasciato queste parole: «In questo giorno, si celebra la morte di Chokri Belaid, simbolo della rivoluzione tunisina. Chokri Belaid resta vivo nel cuore dei tunisini e non lo dimenticheremo mai». Un milione e mezzo di persone aveva accompagnato i funerali del leader dell’opposizione all’islamismo.
Dalla morte del leader del Fronte popolare si sono succeduti cinque governi e, nonostante durante la campagna il partito Nida Tounes (che era uscito vincitore) avesse messo la questione tra le sue priorità, la verità è ancora nascosta.
L’assassinio di Belaid e quello successivo del deputato Mohamed Brahmi (nel luglio del 2013) erano stati rivendicati dallo Stato islamico e all’inizio del 2014 le autorità avevano annunciato l’abbattimento, in uno scontro a fuoco, di Kamel Gadhgadhi, presunto esecutore. Altre 24 persone ritenute implicate nell’assassinio sono sotto processo, ma le udienze sono continuamente rinviate.
«Noi sappiamo che nell’assassinio sono implicate delle istituzioni, quindi facciamo pressioni per sapere la verità», sostiene Basma Khalfaoui, sui mandanti. Ma occorre la volontà politica che evidentemente non c’è, anzi forse prevale la determinazione a non svelare quanto è successo. Soprattutto ora che il partito islamista Ennahdha è nuovamente coinvolto nel governo.
Era stato proprio l’assassinio del leader del Fronte popolare a determinare la crisi del governo islamista e a provocare, il 19 febbraio 2013, le dimissioni di Hamadi Jebali sostituito dal rivale e allora ministro degli interni Ali Larayedh, noto come falco del movimento islamista.
Allora è emerso lo scontro esistente tra le varie componenti di Ennahdha che erano rimaste sotterranee, ma che Belaid aveva studiato e conosceva. Con l’assassinio di Belaid Jebali, che oltre ad essere capo del governo era anche segretario del partito islamista di fatto esce dalla scena politica. Proprio la sera dell’assassinio Jebali alla televisione pronuncia una frase, che resta ancora oggi un enigma: «Abbiamo ricevuto il messaggio e la nostra risposta è chiara».
Il partito islamista al potere aveva dimostrato tutta la sua incapacità e arroganza, lo stesso Jebali aveva preso la decisione di dimettersi, pare, senza consultare gli altri dirigenti del partito e soprattutto del suo fondatore Rachid Ghannouchi. Era l’inizio della fine del governo guidato da Ennahdha. In seguito sarebbe stato il «quartetto» (premio Nobel del 2015) a salvare la transizione con il «dialogo nazionale».
6 febbraio 2017