Lo spettro algerino nel futuro della Tunisia | Giuliana Sgrena
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Lo spettro algerino nel futuro della Tunisia

Ennahdha teme il possibile contagio della crisi egiziana, che porterebbe alla luce le malefatte del governo islamista. Il leader del partito religioso Ghannouchi prepara i suoi seguaci al peggio: la guerra civile.

Lo spettro algerino nel futuro della Tunisia
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2 Agosto 2013 - 17.09


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Gli ultimi avvenimenti tunisini e anche quanto sta accadendo in Egitto mi portano indietro con la memoria di oltre 20 anni, in Algeria. Quando gli islamisti occupavano le piazze decisi a farsi ammazzare non per affermare una pratica non violenta ma per immolarsi con il martirio. Quando dopo gli scontri e le prime vittime provocate dall”intervento dell”esercito ero riuscita a entrare nella sede del Fis (Fronte islamico di salvezza) ad Algeri, subito mi avevano rinchiusa in una stanzetta per dirmi che, come stampa occidentale, dovevo aiutarli a sollevare le proteste internazionali contro quanto stava succedendo, altrimenti loro mandavano a «morire i loro giovani per nulla!».

Ero scioccata! Ho ancora negli occhi l”immagine di tutti quei barbuti assatanati che mi circondavano. E quando uno di loro è stato arrestato, tutti i miei colleghi lo hanno sostenuto perché era semplicemente un fixer che lavorava con i giornalisti e non aveva nulla a che fare con i fratelli musulmani. L”informazione è fondamentale e lo sanno bene anche gli islamisti.

Per questo temo che di fronte ai diktat dell”esercito che vuole sgombrare le piazze del Cairo non solo – e giustamente – i sostenitori di Morsi vorranno difendere il diritto di manifestare, ma cercheranno il martirio, è una loro strategia.

Quello che tuttavia mi spaventa persino di più è quanto sta succedendo negli ultimi giorni, settimane, in Tunisia. Lo scenario algerino si ripete in Tunisia esattamente con lo stesso copione, del resto Rached Ghannouchi, il leader di Ennahdha allora in esilio a Londra, era il teorico del Fis. Ma proprio dopo l”esperienza algerina, Rached Ghannouchi ha promesso nei giorni scorsi che «lo scenario algerino del 1992 non si ripeterà più, in nessun paese arabo» e sta preparando «la battaglia decisiva».

Dopo l”estromissione di Morsi in Egitto, Ennahdha teme la precipitazione della situazione anche in Tunisia e se questo dovesse accadere si scoprirebbero tutti i compromettenti dossier relativi alle loro malefatte degli ultimi mesi. Con la copertura del Congresso per la repubblica (Cpr del presidente Marzouki) e di Ettakatol, il governo ha venduto al Qatar migliaia di ettari di terreno agricolo e decine di imprese, che comprendono anche la principale fonte di entrate: il turismo. Hanno concesso agli americani, in cambio della protezione, una base militare nel sud tunisino e hanno inviato (in cambio di soldi) almeno 6.000 (c”è chi parla di 12.000) giovani tunisini a combattere il jihad in Siria nel famigerato Fronte al Nusra contro il regime di Assad.

Tuttavia, dopo gli ultimi sviluppi in Egitto, secondo il quotidiano libanese Ennahar, Ghannouchi avrebbe ordinato ai jihadisti tunisini che si trovano in Siria di rientrare e di schierarsi lungo la frontiera libico-tunisina.
Il premier Ali Laarayedh prima di abbandonare il ministero degli interni passato a un indipendente con il rimpasto di governo dei mesi scorsi, ha costituito all”interno del ministero una polizia parallela che risponde direttamente a lui e ha epurato le forze dell”ordine di elementi poco «fidati». Per non parlare della Lega per la difesa della rivoluzione, il braccio armato di Ennahdha, che prende di mira tutti gli oppositori. E poi la copertura e/o complicità negli assassinii degli oppositori come Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, tanto che un altro leader del Fronte popolare Hamma Hammami ha rifiutato la scorta ufficiale perché teme di far la fine dei suoi compagni.

Ma c”è di più: un fatto estremamente inquietante è l”assassinio di otto militari di un corpo di élite avvenuta sul monte Chaambi al confine con l”Algeria. Pare che alcuni di loro siano stati sgozzati, spogliati delle divise e delle armi. Lo stesso era avvenuto sul versante algerino al confine con la Tunisia nel 1989, ben prima del «golpe bianco» del 1992. Quando le autorità sono arrivate nella zona di Kasserine (culla della rivoluzione) per partecipare ai funerali dei militari sono state cacciate dalla popolazione, compreso il presidente Moncef Marzouki.

Sebbene non faccia clamore, in Tunisia da tempo si scoprono depositi di armi. Vicino a Medenine è stato scoperto un deposito che, per svuotarlo, sono stati riempiti tre camion. Il magazzino era stato affittato da un militante di Ennahdha, originario dello stesso villaggio del premier. Come mai è stato scoperto un deposito con simili coperture? Evidentemente all”interno delle forze di sicurezza vi sono ancora elementi incontrollabili. D”altronde in un famoso video (perché finito su youtube) Ghannouchi diceva ai salafiti di essere pazienti perché per prendere il potere occorreva il controllo totale dell”esercito e delle moschee.

Ma quanto accaduto in Egitto ha imposto a Ghannouchi di accelerare i tempi e ogni giorno si riunisce con i suoi fedeli (salafiti compresi) per controllare la mobilitazione.

Da tempo si parla di campi di addestramento soprattutto nella zona montuosa del paese, le armi arrivano facilmente dalla Libia. Tra Libia, Tunisia, Algeria si è costituito un triangolo esplosivo per il traffico di armi, droga, soldi ricavati da sequestri, che alimentano i vari gruppi terroristi, soprattutto Al Qaeda nel Maghreb islamico.

L”allarme lanciato dall”Algeria viene sottaciuto in Tunisia dove ancora nei giorni scorsi il governo sosteneva che la situazione dal punto di vista della sicurezza è migliorato.

Certo parlare di sicurezza in un paese che si trova ancora nel mezzo di una rivoluzione è un po” velleitario. I rivoluzionari tunisini hanno finora sempre imboccato la strada della resistenza e della lotta non violenta, ma c”è chi invece sta preparando uno scontro armato, iniziato con assassinii eccellenti e continuato con l”uccisione di militari. Quale sarà la prossima categoria presa di mira?

Le dinamiche rivoluzionarie e controrivoluzionarie ci riservano delle sorprese, non sono paragonabili a modelli del passato. Le controrivoluzioni esistono e sono guidate da forze reazionarie e fasciste come lo sono i Fratelli musulmani, tutti appartenenti alla stessa rete internazionale, per questo in Tunisia come in Egitto esistono ancora forze che si definiscono nazionaliste, ma con un significato diverso da quello negativo da noi attribuito – come ci spiegava recentemente Basma Khalfaoui, la vedova di Chokri Belaid. Per loro nazionalismo non vuol dire pulizia etnica come nei Balcani, ma il riferimento a un riscatto dal colonialismo, a un progetto che è fallito, ma secondo alcuni per gli errori commessi e non perché irrealizzabile.

Gli avvenimenti anche in paesi molto vicini al nostro come quelli che stanno avvenendo nel Mediterraneo richiedono molta attenzione e sforzo per la loro comprensione. Schierarsi a priori non aiuta, come non aiuta l”esaltazione per la rivoluzione e l”abbandono per la frustrazione dovuta alle nostre aspettative non realizzate. Per comprendere occorre mantenere salda la memoria, avere ben presente la natura delle forze in campo, evitare ogni relativismo culturale pronto a giustificare ogni nefandezza, e non dimenticare che all”interno di questi paesi, in Egitto come nel Maghreb, si muovono e lottano forze politiche e sociali che con noi condividono gli ideali di libertà, laicità, eguaglianza e democrazia. Queste forze sono spesso schiacciate nello scontro islamisti/esercito, ma rappresentano l”unica speranza per la democrazia in questi paesi.

il manifesto 2 agosto 2013

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