I quotidiani tunisini sono occupati in gran parte dalla pubblicità e dai piccoli annunci, per il resto non ci sono grandi approfondimenti o diversità di notizie, segno evidente che è uno settori che ancora deve essere investito dall”ondata rivoluzionaria. Sfogliando La Presse mi colpiscono gli annunci delle programmazioni cinematografiche. Al Cinemafricart è in programmazione Plus jamais peur di Mourad Ben Cheikh, un”occasione da non perdere: sono i documentari della rivoluzione e per di più proiettati nella sala che era stata presa d”assalto dagli islamisti il 26 giugno quando stavano proiettando Laicità inch”Allah (il vecchio titolo del film era Né Allah, né padrone) di Nadia El Fani.
Mi precipito all”hotel Africa, la sala si trova su un lato dell”albergo, ma quando chiedo informazioni al portiere mi guarda esterrefatto: «La sala è chiusa», mi dice. Come? Sul giornale c”è scritto… obietto. «Ma non sa cosa è successo?» mi risponde con un”aria infastidita. Certo che lo so, è proprio per questo… non voglio darmi per vinta finché non mi fa vedere le lastre di ondulato messe al posto delle vetrate ridotte in frantumi dagli islamisti. «Comunque riaprirà entro settembre», cerca di rassicurarmi. Ma poi, quasi fosse un suggerimento o una giustificazione di quanto accaduto, aggiunge: «Non si può toccare Allah, non ci si può immischiare con le cose religiose, sono troppo delicate…» E lo sono sempre di più da quando gli islamisti cercano di imporre le proprie leggi e molti pensano che per non incorrere in problemi sia meglio evitare di trattare argomenti sensibili.
Per nulla tranquillizzata cerco Habib Bel Hédi, il gestore del teatro Cinemafricart. Non è difficile: è amico del regista Mohammed Challouf, anche lui in quei giorni all”Africa, lo contatta immediatamente.
Ci incontriamo al bar dell”Africa (l”hotel è il punto di riferimento per chi sta in città), che in estate ha anche i tavolini all”esterno, la sala distrutta è alle nostre spalle. La triste esperienza – anche lui è stato picchiato dagli islamisti – non ha fatto perdere il sorriso e l”ottimismo a Habib Bel Hédi. Altrimenti non avrebbe potuto resistitere tanti anni sotto il regime di Ben Ali.
Habib Bel Hedi è il creatore di Familia production, l”ideatore e il gestore di una struttura di produzione teatrale e audiovisiva che ha prodotto le opere più belle firmate da Jalila Baccar e Fadhel Jaibi. È con lui che la Familia productions è nata vent”anni fa e che il teatro di Jaibi è arrivato in tutto il mondo e ora sta girando in Europa con l”opera Amnesia. Ma Habib Bel Hedi non è solo questo, è anche produttore di cinema e soprattutto agitatore culturale: aveva fatto rivivere la sala del CinemAfrica e ne aveva fatto un luogo di ritrovo di cinefili.
Habib ha cominciato la sua avventura culturale ancora giovanissimo, prima con le marionette e poi con il teatro nelle scuole, al collegio Sadiki ha creato una troupe di teatro alternativa. E poi al club Tahar Haddad con molte creazioni, tra cui Stato d”assedio di Tahar Hammami, all”epoca censurato. Di stagione in stagione Habib è passato di teatro in teatro, in centri culturali. Non sempre è stato facile a volte si è visto impedire l”apertura di una sala cinematografica o allontanato perché gli erano state trovate 10 copie del giornale del Partito comunista nel cassetto.
L”impegno di Habib non è stato solo culturale ma anche politico fin dal liceo dove si era trovato coinvolto nel dibattito di intellettuali che hanno poi aderito al Partito comunista, e lui con loro. Allora l”impegno era notevole, ricorda Habib, dovevamo leggere un libro e vedere un film al giorno. Diventato l”animatore dei meeting del Partito comunista ha anche organizzato un festival per il lancio della rivista del partito Attarik al jadid. «È in questo ambiente che ho imparato cos”è la democrazia; nello stesso tempo, ho cominciato a pormi problemi sul potere centrale, la dittatura del proletariato… il mio impegno nel partito comunista è finito nel 1985», aveva dichiarato in una intervista a la Presse.
«Ma non ho mai abbandonato l”impegno politico e sono da sempre un militante della Lega tunisina per i diritti dell”uomo», ci precisa. E non ha intenzione di arrendersi proprio ora: «Dopo le vacanze e con la fine del Ramadan riprenderò le proiezioni al CinemAfricart o in un”altra sala». Non è la prima volta che è costretto a cambiare cinema, teatro. L”attacco di luglio al Cinemafricart non è stato il primo. «Da sempre gli artisti sono nel mirino degli islamisti». Anzi la manifestazione che comprendeva la proiezione del film di Nadia El Fani, era stata indetta dall”associazione Lam Echami e la Lega araba per i diritti dell”uomo proprio per ribadire la libertà di espressione e per condannare chi attacca gli artisti.
«Sono pienamente impegnato in politica pur non facendo parte di un partito, ho deciso di militare per la promozione della cultura basandomi sui principi dei diritti dell”uomo. Lotto insieme a tutte le forze vive del paese per una Tunisia in cui possa trovare grande spazio la cultura e per il coinvolgimento democratico dei partiti. La cultura deve mobilitare le forze politiche, ma per vivere dignitosamente la cultura non deve essere la servizio della politica. Il vero problema è che tutti hanno paura dei partiti islamisti, delle loro pratiche tradizionali, ma nessuno vuole rinunciare a spartirsi la torta , e poi ognuno ha una propria idea della rivoluzione».
In ottobre ci saranno le elezioni… «Il primo passo da fare è quello di dare ai tunisini la parola con il voto. La decisione di far cadere il governo e le istituzioni ha creato un disordine e in questo quadro la cultura e la libertà di espressione sono state messe da parte: tutti hanno bisogno della libertà di stampa ma nessuno la vuole, tutti vogliono che la stampa sia dalla loro parte e i giornalisti hanno paura di perdere il lavoro. In passato per la cultura, per gli intellettuali c”era un po” di spazio, ma non per la stampa. Ora la confusione e la paura degli islamisti rischia di distruggere la cultura e la libertà, una delle prime rivendicazioni della rivoluzione. La libertà non è solo quella dei prigionieri o dei giornali. Se non c”è libertà d”espressione non c”è un progetto, ci sono solo dei modelli e si torna indietro. L”altra faccia del mio sogno di libertà d”espressione è quello di inventare il nuovo, per evitare di riproporre vecchi modelli. Tutti parlano di libertà di stampa, di indipendenza della giustizia, ma non c”è nessun dibattito sulla cultura. La cultura deve trovare spazio nella prossima Costituzione, dove deve essere garantita la libertà di espressione, di creazione e di invenzione. Oltre a salvaguardare i diritti della creazione artistica. Questo è il paese dove si trova il teatro di Cartagine che ogni anno ospita un festival internazionale». E non solo Cartagine… «La cultura è di tutti i cittadini, che partecipano alle spese pagando le imposte. Anche se solo l”un per cento del budget è riservato alla cultura, tutti devono poterne usufruire. Dobbiamo diffondere la cultura su tutto il territorio pur senza l”esistenza di infrastrutture. La cultura è impegno nell”educazione e nella formazione, questo può dare alla rivoluzione una vitalità importante. Un paese che ha costruito un teatro così importante come quello di Cartagine non può vivere senza cultura, Cartagine è lo scenario della rivoluzione, qui si può realizzare il mio sogno culturale». ‘
Cinema e rivoluzione
intervista a Habib ben Hedi
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7 Settembre 2011 - 11.52
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