Alla frontiera di Ras Jdir, tra la Tunisia e la Libia, colonne interminabili di uomini in fuga dalla Libia, per paura o perché hanno perso il posto di lavoro, giacciono immobili sotto il sole. Non sono profughi in senso classico, non fuggono dalla guerra e nemmeno dalla fame. Hanno una meta da raggiungere: il loro paese, casa. Non siamo più all”inferno dei giorni scorsi, quando in Tunisia entravano 10-15mila persone al giorno. Ieri arrivavano alla spicciolata, a decine, senza clamore.
Il flusso è terminato? «No, gli arrivi continueranno finché non ci sarà la pace» sostiene il dottor Stara Mejid del ministero della sanità tunisina. Anche lo spagnolo David Noguera, coordinatore di emergenza di Medici senza frontiere, è convinto che il flusso è interrotto perché c”è un blocco in Libia che impedisce ai profughi di scappare. Una ventina di medici di Msf stazionano con le loro tende sul piazzale della dogana, accanto ai tunisini, in attesa di poter entrare in Libia per poter svolgere il loro lavoro.
«Questo blocco è inammissibile, sappiamo che in Libia c”è gente che ha bisogno del nostro aiuto. Fra i profughi non ci sono problemi di salute? Nessun ferito è giunto da oltre frontiera e nessun libico. Per il resto si tratta di malattie croniche (gastroenteriti, angine, etc.)» spiega il dottor Stara Mejid.
Comunque sia, l”interruzione degli arrivi permette l”organizzazione del rimpatrio di chi da giorni staziona alla diaccio o nella tendopoli allestita a una decina di chilometri dalla frontiera dall”Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). Dal 20 febbraio a oggi, secondo la Mezzaluna rossa tunisina, sono arrivati più di 100.000 profughi. A parte i tunisini che sono già tornati a casa loro, sono soprattutto egiziani, e poi cinesi, vietnamiti, eritrei, somali, qualche algerino, indiani, bengalesi.
Gli ultimi ad arrivare da Tripoli sono stati i bengalesi, che ora sono stati intruppati per dirigersi verso il campo dell”Unhrc dove potranno prendere il posto di quelli che sono partiti. Ma non c”è posto per tutti, molti dormono per terra con un materasso e una coperta, altri hanno legato una coperta ai rami di un albero per avere un tetto, altri ancora si riparano sotto gli eucalipti. Ovunque immondizia, e non ci sono servizi igienici e acqua potabile, questo è il grave rischio per il diffondersi di malattie.
Nei giorni scorsi raccontavano di assalti al lancio dei biscotti portati dal Pam, ma ieri una macchina della Mezzaluna rossa girava per distribuire aiuti alimentari lasciando il bagagliaio aperto senza che nessuno ne approfittasse. Sono profughi con i soldi? La maggior parte sì, lavoravano in Libia e sicuramente erano pagati meglio che nel loro paese.
Molti ti guardano con aria triste e preferiscono non parlare. Ma c”è chi vuole denunciare la propria disavventura. Sono in quattro, egiziani, parla per loro Khaled: «Abbiamo passato tre giorni all”aeroporto di Tripoli, senza riuscire a partire. Allora abbiamo deciso di andarcene via terra, ma ci hanno fermato dei poliziotti che ci hanno portato via telefoni e soldi. Io avevo 9.000 dinari, che avevo messo da parte. Ho lavorato quattro anni in Libia per una impresa di pulizie». Gli altri lo sostengono vociando, ringraziano i tunisini per il loro aiuto e si lamentano del disinteressamento del governo egiziano per farli rientrare. Chiederemo subito le dimissioni del ministro degli esteri, dicono. Ma sapete che in Egitto le cose sono cambiate, avete visto piazza Tahrir…«Non importa, sono tutti uguali» taglia corto Khaled.
I tunisini sono apprezzati da tutti per gli sforzi fatti nei primi giorni di emergenza, quando arrivavano migliaia di profughi e non c”era nessun aiuto internazionale. Ieri dopo una visita nei campi di Ras Jdir, Habiba Ezzehi ben Ramdhane, ministra della sanità pubblica, ha lanciato un appello alle organizzazioni internazionali e ai «paesi fratelli» perché contribuiscano al rimpatrio dei rifugiati. La situazione fa presagire «una catastrofe umanitaria» dice la ministra, anche se ha scartato l”ipotesi di epidemie, grazie al piano di prevenzione. I problemi sono molti anche se la situazione sembra tutto sommato sotto controllo, a mantenere l”ordine sono i militari. Nei momenti di maggiore tensione, i militari hanno sparato in aria, per fortuna senza incidenti. Accanto ai militari vi sono anche molti civili, come coloro che organizzano le partenze sui pullman, e volontari.
La lunga fila di persone – dai 16 ai 50 anni, mi dicono – che resta immobile sotto il sole, comincia a muoversi quando arrivano grossi pullman gialli, anche questi erano di proprietà della signora Trabelsi, moglie di Ben Ali, mi fa notare un tunisino. Comunque ora che la signora è partita servono anche al trasporto dei profughi. Le liste dei nomi degli aventi diritto a partire dipende dalla data di arrivo, dalla nazionalità e, ovviamente, dalla disponibilità dei voli per il loro paese di origine.
Seguiamo gli enormi bus gialli fino all”aeroporto di Djerba, quasi 150 chilometri.
Dentro e fuori lo scalo si sono trasferite molte delle code che avevamo visto al confine, la Mezzaluna rossa distribuisce un pasto caldo. Voi non mangiate?, chiedo ai cinesi disinteressati al cibo. «Noi abbiamo mangiato in albergo, mi risponde Chan. Che poi mi spiega come l”ambasciata cinese, subito dopo il precipitare degli eventi in Libia, abbia organizzato il trasporto verso la frontiera, dove hanno passato una notte, e poi a Djerba, ospitati in albergo per tre giorni».
Oggi ci sono ben due voli per Pechino. E toccherà anche a Chan. Che facevate in Libia? «Lavoravamo nelle costruzioni». E il salario? «Buono, soprattutto rispetto al mio paese, 2.000 dollari al mese». Cosa hai visto a Tripoli, ci sono stati scontri? «Dove stavamo noi, in periferia, era tutto tranquillo».
Da giovedì scorso sono iniziati i voli di rimpatrio, ieri, quando siamo arrivati all”aeroporto ne erano già partiti 10 e ne erano previsti atri 50 (circa 9.000 persone, giovedì ne sono partite 11.700). Un «team italiano di ricognizioni avanzata» arrivato in Tunisia dovrebbe decidere un intervento italiano. ‘
Il dramma dei profughi che hanno perso tutto
In 100.000 sono fuggiti attraverso Ras Jdir
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5 Marzo 2011 - 11.52
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