La legalizzazione del movimento islamista Ennahda, a 30 anni dalla sua fondazione e dopo la repressione subita sotto il regime dell”ex-presidente Zine el Abidine Ben Ali, è senza dubbio la notizia più importante che arriva da Tunisi. Ennahda (Rinascita) fu fondato nel 1981 da Rachid Ghannouchi assieme ad altri islamisti che si ispiravano ai Fratelli musulmani egiziani e ai loro teorici Qutb e Maududi. Il movimento fu tollerato fino a quando, nelle elezioni del 1989, le liste sostenute dall”organizzazione raccolsero circa il 17% dei voti.
Gli anni ”90 vedono invece una forte repressione dei militanti di Ennahda, con Ben Ali ossessionato da quanto stava avvenendo nella vicina Algeria. Oltre alle torture e all”eliminazione fisica, molti militanti vengono condannati, tra di loro anche il leader Rachid Ghannouchi, che per evitare di scontare la pena si rifugia a Londra. Dopo essere stato dalla Gran bretagna l”ideologo degli islamisti del Maghreb, rientra in Tunisia alla fine del gennaio scorso, dopo la fuga di Ben Ali, con propositi molto più moderati. Evita critiche aperte alla Tunisia secolarizzata (i suoi militanti dicono di accettare il codice della famiglia, il che presuppone il riconoscimento dei diritti delle donne) e sostiene di essere contro l”emirato islamico. L”obiettivo principale di Rachid Ghannouchi è quello di sdoganare il suo partito e permettergli di partecipare alle prossime elezioni. Obiettivo raggiunto ieri con la legalizzazione di Ennahda.
Vista la crisi in cui versa il governo tunisino dopo le nuove dimissioni paradossalmente forse sarà proprio qualche esponente di Ennahda a fornire al premier l”alibi di avere qualcuno dell”opposizione in una compagine troppo vecchia per essere accettata dalla rivoluzione dei gelsomini, che ha avuto come protagonisti soprattutto i giovani.
Ad aggravare la crisi di governo sono state ieri le dimissioni di due ministri dell”opposizione, Ahmed Ibrahim, ministro dell”Insegnamento superiore e della ricerca scientifica, e di Ahmed Nejib Chebbi, ministro dello sviluppo regionale.
«Ho presentato le mie dimissioni al premier» ha dichiarato all”Afp Ahmed Ibrahim, leader del partito Ettajdid (ex-partito comunista), perché «mi sono convinto di poter meglio servire la rivoluzione rimanendo fuori dal governo». Dal canto suo Ahmed Nejib Chebbi, leader del Partito democratico progressista, ha detto in una conferenza stampa: «Annuncio le mie dimissioni a causa delle incertezze e delle debolezze che hanno contraddistinto il governo di Mohammed Ghannouchi». Altri due ministri si erano già dimessi subito dopo il premier Ghannouchi, si trattava di Mohammed Nouri Jouini, che aveva il portafoglio della Pianificazione e della cooperazione internazionale, e di Mohammed Afif Chelbi, che aveva quello dell”Industria. Entrambi avevano fatto parte dell”ultimo governo Ben Ali.
Le ultime dimissioni lasciano completamente scoperto il governo di Béji Caïd Essebsi a sinistra e soprattutto vengono a mancare gli oppositori del vecchio regime.
Intanto in piazza della Kasbah, davanti alla sede del governo, la protesta continua. E ieri Amnesty international ha presentato a Tunisi un suo rapporto di 46 pagine dal titolo «Tunisia in rivolta: violenza di stato durante le proteste antigovernative», in cui rivela che le forze di sicurezza hanno ucciso passanti e manifestanti in fuga e hanno usato armi letali contro persone che non rappresentavano nessuna minaccia. Per questo Amnesty chiede «l”apertura di una immediata inchiesta indipendente sulle uccisioni e le brutalità commesse dalle forze di sicurezza durante le proteste che hanno portato alla caduta di Ben Ali». ‘
Legalizzati gli islamisti di Ennahda
Il governo si sbriciola
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2 Marzo 2011 - 11.52
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