Dove sono i pacifisti? Non è una provocazione. Lo so, la situazione siriana è estremamente complessa e non è facile da comprendere a pieno. Quel che è certo è che ogni giorno si registrano nuovi massacri, che molte delle vittime sono donne e bambini. Innanzitutto occorre mettere fine a questo bagno di sangue. Naturalmente individuando le responsabilità di chi commette questi orrori, ben sapendo che non sono da una parte sola.
Ma non è necessario schierarsi con una delle parti in conflitto per sostenere il popolo siriano, è possibile manifestare senza essere né con il Consiglio nazionale siriano (come invece è stato fatto) né, tanto meno, con il Comitato giù le mani dalla Siria che ha indetto la manifestazione del 16 giugno a Roma a sostegno di Assad. Ho cercato inutilmente sui siti delle reazioni a questo appello a manifestare il 16, ma non ho trovato nulla, spero di essermi sbagliata.
È difficile trovare degli interlocutori validi in Siria (anche se tra i Comitati locali ci sono), ma quello che non si può fare è appoggiare Assad e tacere di fronte a chi manifesta a favore di un dittatore sanguinario.
Certo, non bastano slogan e parole vuote di fronte a un paese che sta precipitando nella guerra civile.
Se non si vuole la guerra e tanto meno l’intervento esterno della Nato (la Libia ne ha mostrato gli effetti devastanti), bisogna avanzare delle proposte alternative. Proviamoci: innanzitutto occorrerebbe dare alla missione Onu di Kofi Annan gli strumenti per agire, con 300 osservatori non si possono impedire le stragi e nemmeno individuare i responsabili, ne occorrono almeno 3.000. E da soli non bastano nemmeno, se non sono appoggiati da una forza Onu con i soli compiti di polizia per proteggere osservatori e cittadini. Questo potrebbe aprire la strada sia ai corridoi umanitari, sia all’arrivo di corpi civili di pace. Prepariamoci.
Il tutto deve essere accompagnato da un processo politico, un negoziato (che può coinvolgere o meno Assad, all’inizio l’opposizione interna era favorevole, quella esterna no) a livello regionale. Il regime alauita siriano è l’anello debole di un precario equilibrio tra le forze sciite, dagli Ayatollah iraniani agli Hezbollah libanesi passando per gli sciiti di Baghdad, che governano l’Iraq con un regime dittatoriale. Se salta il regime alauita (una minoranza sciita in Siria) e in Siria vanno al potere i sunniti, questo avrà ripercussioni su tutta la regione e soprattutto potrebbero cambiare i rapporti con l’Iran, in questo momento sotto il tiro di Israele e non solo. I paesi occidentali sono consapevoli dei rischi di un intervento in Siria, altrimenti non avrebbero atteso tanto, ma nello stesso tempo mantengono la minaccia della Nato senza fare nulla per trovare una soluzione negoziata. Certo occorrerebbe l’avallo della Russia, che forse ora comincia a rendersi conto della pericolosità della situazione.
Ma noi pacifisti, mi ci metto anch’io, dobbiamo muoverci al di fuori degli schemi della propaganda di guerra, da qualsiasi parte venga. Cercare degli interlocutori, anche se è difficile, forse non è impossibile. Premere sui paesi perché appoggino il piano dell’Onu invece di farlo fallire e sostengano una pace negoziata invece di ritirare gli ambasciatori. E soprattutto applichino un vero embargo delle armi. Perché sappiamo bene che qualcuno l’intervento militare attraverso i contractors, il Qatar o al Qaeda, l’ha già cominciato. Quindi non c’è tempo da perdere.
Se vogliamo la pace dobbiamo costruirla ponendo fine al bagno di sangue, impedendo l’intervento della Nato, ma non salvando il regime di Assad.