Il primo bilancio ufficiale reso noto dal ministro dell”interno Daho Ould Kablia sugli scontri in corso in Algeria da giovedì scorso parla di tre morti, 320 feriti fra le forze dell”ordine e meno di un centinaio tra i manifestanti. Un giovane è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco mentre stava facendo irruzione in un commissariato di polizia a Ain Lahdjel, nella provincia di M”sila, ha detto il ministro alla Chaîne III della radio nazionale. Il secondo è morto dopo il ricovero in ospedale nella città di Bousmail, nella provincia di Tipasa.
Secondo informazioni raccolte dal quotidiano El Watan le vittime di M”sila sarebbero invece due, il secondo manifestante sarebbe morto dopo il ricovero all”ospedale Mustapha di Algeri. Dunque il bilancio dei morti è salito a tre, mentre la rivolta non accenna a diminuire. Ma il ministro si rifiuta di riconoscere i problemi economici che sono alla base della protesta: «Si tratta di atti criminali che non resteranno impuniti». Ieri sono finiti davanti al tribunale di Khemis Miliana 15 giovani sospettati della rivolta avvenuta nella notte tra giovedì e venerdì, la seduta si è conclusa con il rinvio a giudizio di nove giovani con accuse pesanti: incitamento alla rivolta, violenza contro la polizia, furti e minacce oltre ad incetta di armi bianche.
Ieri Algeri presidiata delle forze dell”ordine era deserta, molti negozi sono rimasti chiusi (la giornata era semifestiva), mentre si moltiplicano i focolai di protesta che si sono estesi dalla Kabiliya fino a Tebessa ai confini con la Tunisia.
Ovunque sono presi di mira i luoghi pubblici: poste, sedi comunali, caserme di polizia, che vengono saccheggiati o dati alle fiamme. Difficile pensare che questa protesta, di cui si erano già avuti ripetuti segnali nei mesi scorsi, possa essere sedata solo con il pugno di ferro. O con la latitanza del presidente Abdelaziz Bouteflika. Quelli che denunciano i giovani algerini sono problemi reali che toccano tutta la popolazione e loro in particolare.
I giovani, i 3/4 della popolazione, sono sempre stati i protagonisti delle rivolte che hanno sconvolto il paese negli ultimi decenni. Anche se la loro natura è diversa: nel 1988 era stata la sete di giustizia e di libertà a far scattare la scintilla della rivolta anche se poi a cavalcare le manifestazioni di protesta erano arrivati gli islamisti, che già controllavano scuole e moschee. Era l”inizio di un decennio di sangue, che si sarebbe concluso con una sorta di riconciliazione nazionale che non ha mai risarcito nemmeno moralmente le vittime di quei massacri. Molti giovani «ittistes» (in piedi contro i muri in attesa di una occupazione) erano stati assoldati dai gruppi islamici armati.
Molti altri, soprattutto negli anni 90, si erano dedicati al contrabbando, i trabendisti che riempivano i voli Roma-Algeri e Algeri-Marsiglia. In quegli anni alcune fabbriche napoletane avevano prosperato sul traffico con l”Algeria. Persino delle armi per il Gia passavano da Napoli. Quando il contrabbando non è risultato più redditizio con la fine del decennio nero, ai giovani algerini che continuavano ad aspirare a una vita migliore non restava che attraversare il Mediterraneo e sbarcare clandestinamente in Sardegna. Ma ora è sempre più dura, la chiusura delle frontiere è diventata ermetica e non solo per chi vuole venire a vivere in Europa, ma anche per chi vorrebbe venire semplicemente per uno scambio politico o culturale. Sono pochi coloro che riescono a superare i filtri di Schengen.
Il 2011 non poteva che cominciare con l”esplosione della rabbia di quei giovani che si sentono in trappola e per di più non possono nemmeno godere dei benefici che ha dato alle casse dello stato algerino l”aumento del prezzo del petrolio. Bouteflika invece di pensare a una seppur minima redistribuzione del reddito ha cercato sì di dare un nuovo volto alla capitale, ha anche dato il via alla costruzione di una nuova autostrada che attraverserò tutta l”Algeria lungo la costa, ma non ha per nulla migliorato i servizi di cui usufruiscono i cittadini normali, che non si spartiscono la rendita petrolifera.
Certo non tutto il denaro è finito in corruzione (che recentemente ha coinvolto anche l”impresa simbolo dell”Algeria la Sonatrac, che gestisce il petrolio), Bouteflika ha rimpinguato le riserve dello stato che ora ammontano a 160 miliardi di dollari. Tutto secondo le regole dettate dal Fondo monetario internazionale che teneva l”Algeria sotto osservazione e che ora l”ha sdoganata citandola come paese modello. Forse Bouteflika è previdente, vuole evitare, nel caso il prezzo del petrolio crollasse, la crisi che aveva seguito il crollo del 1986, ma la popolazione non può fare la fame assistendo alla sempre maggiore sperequazione tra figli di papà e figli di nessuno.
Il tutto avviene mentre il sistema politico è completamente bloccato, il potere di Bouteflika sembra intoccabile, ma non ha più il consenso di quando era stato eletto la prima volta e per di più non si degna di rispondere alle richieste dei manifestanti.
Il presidente non percorre più tutte le strade dell”Algeria come era abituato a fare, tace. Sta male? Questa voce è sempre la prima a circolare quando il presidente scompare dalla circolazione ma di solito risorge improvvisamente. Ora però si comincia a parlare di elezioni presidenziali anticipate e per non smentire la via tracciata da altri regimi dinastici dell”area, il pretendente alla successione sarebbe Said Bouteflika, fratello di Abdelaziz. ‘
L''Algeria brucia'
Giovani in rivolta, tre morti
Redazione Modifica articolo
9 Gennaio 2011 - 11.52
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