Perché non si parla di Ikram Nazih? | Giuliana Sgrena
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Perché non si parla di Ikram Nazih?

Condannata a tre anni di carcere perché accusata di blasfemia, il caso della ragazza italo-marocchina, paragonata a Zaki, è ignorato dai media.

Perché non si parla di Ikram Nazih?
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Giuliana Sgrena Modifica articolo

3 Agosto 2021 - 20.00


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Perché non si parla di Ikram Nazih? È stata paragonata a Zaki, ma per lei non si spende nessuno, o quasi, soprattutto a sinistra. Ikram Nazih, 23 anni, è nata a Vimercate (Monza) da genitori marocchini, studia a Marsiglia e ha la doppia cittadinanza: italiana e marocchina. A fine giugno è tornata in Marocco per trascorrervi le vacanze ma al suo arrivo è stata arrestata, poi processata per blasfemia e condannata a tre anni di carcere e una multa di 50mila dirham (poco meno di  5 mila euro). Il motivo? Nel 2019 aveva condiviso un post satirico molto diffuso su Facebook che faceva riferimento alla sura del Corano dell’Abbondanza definendolo un versetto «del whiskey». I molti commenti negativi di coloro che si sentivano offesi dalla vignetta l’avevano indotta a cancellare il post. Ma la cancellazione non è servita a eliminare la denuncia alle autorità marocchine fatta da una associazione religiosa di quel paese.

In Italia la questione ha provocato una interrogazione alla commissione esteri del senato, ma le rassicurazioni della Farnesina non hanno prodotto nessun effetto. La doppia cittadinanza sarebbe un intralcio perché la Convenzione dell’Aia non prevede una protezione diplomatica di un cittadino di doppia cittadinanza in uno dei due paesi coinvolti. A questo punto, tra l’altro, c’è da chiedersi a che cosa servirebbe la cittadinanza italiana a Patrick Zaki approvata con una mozione presentata alla Camera dei deputati?

Per tornare a Ikram, ha fatto discutere una lettera aperta al monarca marocchino firmata da Davide Piccardo, direttore della rivista islamica La luce, in cui chiede la grazia – che non è stata concessa – per Ikram in occasione della festa del Sacrificio. La lettera contiene infatti affermazioni in contrasto con i diritti umani, con la Costituzione italiana e con la richiesta di grazia avanzata per quella «scriteriata sorella» quando sostiene di considerare «la blasfemia una colpa grave, nei confronti di Dio e verso i credenti e che non metto in discussione il diritto-dovere dello stato marocchino di procedere in giudizio per reprimerla».  

Perché non si reagisce a simili affermazioni e soprattutto perché non si chiede a gran voce la liberazione di Ikram? Perché si teme di essere accusati di islamofobia? L’islamofobia la alimentano coloro che sostengono il reato di blasfemia, che purtroppo negli ultimi tempi manda in carcere intellettuali e femministe in diversi paesi.

 

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