Cade un tabù «non per guidare ma per vivere» | Giuliana Sgrena
Top

Cade un tabù «non per guidare ma per vivere»

Le donne saudite finalmente potranno guidare ma solo dal giugno 2018. Una vittoria per le attiviste del Women2Drive che hanno pagato anche con il carcere

Cade un tabù «non per guidare ma per vivere»
Preroll

Giuliana Sgrena Modifica articolo

28 Settembre 2017 - 11.21


ATF

Le donne saudite potranno guidare l’auto, dal giugno del 2018. L’Arabia saudita era l’unico paese al mondo che vietava alle donne la possibilità di guidare l’auto.

Cade un tabù, ne restano molti altri, ma il divieto di guida era diventato per le saudite militanti per i diritti delle donne il simbolo della loro discriminazione «Non per guidare ma per vivere», aveva detto Manal al Shrif. Mettersi al volante sfidando i divieti, nonostante le minacce di finire in carcere – e alcune ci sono finite – e poi riprendersi per postare il video sui social, che diventavano subito virali, ha portato a una prima vittoria. Che alcune militanti, come la giornalista Wajeha al Huwaider, hanno pagato anche perdendo il posto di lavoro.

La possibilità di guidare arriva dopo il diritto di votare e di essere votate, ma senza mostrare il proprio volto e senza il diritto di contattare gli elettori maschi.

L’apartheid continua e come ha già dichiarato Manal al Sharif, diventata un’icona della lotta per le donne al volante, la prossima campagna sarà per abolire la legge che prevede un «guardiano» per le donne.

Le donne sono ancora limitatissime nei loro movimenti e per lavorare – nei settori loro concessi – devono avere il permesso del guardiano (marito, padre, fratello), che le deve accompagnarle nei viaggi (le saudite non hanno documenti), deve autorizzarle a votare, ecc.

Le saudite non possono affittare una casa o aprire un conto in banca, per non parlare dell’eredità e della tutela dei figli.

L’annuncio del decreto reale firmato da re Salman, che permetterà alle donne di guidare, è stato fatto contemporaneamente (e singolarmente) dalla televisione di stato e dall’esuberante ambasciatore saudita a Washington principe Khalid al Salman.

Evidentemente si tratta di un’operazione d’immagine, probabilmente inscenata per rispondere (molto parzialmente) a tutte le critiche suscitate, in aprile, dall’entrata dell’Arabia saudita a far parte della Commissione delle Nazioni unite sullo status delle donne, un organismo designato a promuovere la parità di genere e l’empowerment femminile.

La mossa s’inserisce anche nel piano di riforme «Vision 2030», varato due anni fa, che dovrebbe diversificare l’economia del paese, ora dipendente solo dal petrolio, con investimenti in vari settori, compreso quello militare. I tempi lunghi favoriranno soprattutto il successore e ispiratore di re Salman, l’ambizioso e già potente figlio 32enne Mohammed bin Salman, nominato erede dopo l’estromissione dalla successione di Muhammad bin Nayef nel 2015.

Dopo essere stato nel Consiglio economico, è diventato il più giovane ministro della difesa al mondo.

E, visto l’impegno dell’Arabia saudita in campo militare, non è cosa da poco.

C’è un altro motivo che potrebbe aver determinato la decisione, quello economico.

L’abbassamento del prezzo del petrolio ha avuto ripercussioni sull’economia saudita e mantenere autisti per ogni spostamento delle donne, dei figli per andare a scuola, in un paese dove non esistono mezzi pubblici, è diventato un grosso problema. Le donne che lavorano si lamentano di spendere gran parte del loro stipendio per l’autista privato.

Comunque la decisione è stata presa, anche se in Arabia saudita non esisteva una legge che vietasse alle donne di guidare, erano i religiosi wahabiti che con le loro fatwa contribuivano a mantenere l’impedimento con motivazioni assurde. La più recente, di una settimana fa, è quella dello sceicco Saad al Hajri: le donne non possono guidare perché hanno solo un quarto di cervello. Altri in passato avevano sostenuto che la donna al volante era un pericolo per la famiglia e inoltre avrebbe potuto rovinarsi le ovaie! Un altro motivo sollevato era quello che se la donna avesse avuto una patente con la sua fotografia un vigile, fermandola, avrebbe potuto vedere il suo viso, ora coperto da un velo integrale, il niqab.

E pare sia proprio questo uno dei problemi che ritardano l’applicazione del decreto: i poliziotti dovranno essere addestrati a trattare le donne con le quali finora non hanno contatti. Intanto è stata nominata una commissione che entro trenta giorni dovrà indicare delle raccomandazioni per rendere possibile l’attuazione del decreto reale entro il 24 giugno 2018.

Naturalmente questo tempo servirà anche per convincere i religiosi oltranzisti che già stanno diffondendo messaggi per rendere inapplicabile la legge. Ma i regnanti hanno già garantito che alle donne sarà permesso di guidare «soltanto in accordo con la sharia».

 

Native

Articoli correlati