Tunisia, la polizia religiosa attacca le donne | Giuliana Sgrena
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Tunisia, la polizia religiosa attacca le donne

La storia della ragazza stuprata da due poliziotti e poi accusata, insieme al suo fidanzato, di oltraggio al pudore. Potrebbero finire in carcere.

Tunisia, la polizia religiosa attacca le donne
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10 Ottobre 2012 - 18.58


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In Tunisia, come nei paesi musulmani retti da regimi islamisti conservatori, è entrata in azione la polizia religiosa, quella che generalmente si definisce polizia “per combattere il vizio e promuovere la virtù”. Ma in Tunisia i poliziotti non si limitano a frustare chi non si comporta secondo l’ordine morale islamico ma punisce le vittime violentandole. L’aggressione sessuale è all’ordine del giorno. E poi, chi ha il coraggio di denunciare la violenza subita viene accusata di “attentato al pudore”, ovvero di un crimine contro la morale (proprio come succede in Afghanistan), e processata.

Recentemente, una coppia finita davanti ai giudici, ha avuto l’onore delle cronache per il sostegno manifestato da molte donne e uomini tunisini.
Ma vale la pena di riprendere la storia della giovane donna, 27 anni, perché è emblematica nella Tunisia post-rivoluzione.

La donna ha raccontato la sua drammatica esperienza al Parisien, con uno pseudonimo: Meriem.

La storia di Meriem

Meriem ha deciso di infrangere quello che in Tunisia è ancora un tabù “perché in Tunisia, lo stupro è un tabù”. E non è stato facile subire un interrogatorio di due ore in tribunale con l’accusa di aver attentato al pudore dopo essere stata stuprata. La coppia è ora in attesa del verdetto del giudice.
Accompagnata dal suo fidanzato Ahmed ha rilasciato l’intervista sulla stessa auto dove si trovava nella notte tra il 3 e 4 settembre quando la sua vita è stata travolta dai fatti.

La serata era cominciata andando a bere un bicchiere a La Marsa, un quartiere residenziale in riva al mare. Poi la festa si è prolungata e la coppia ha fatto tardi, erano quasi le cinque del mattino quando i due fidanzati stavano ancora discutendo in macchina, quella di Meriem. E’ allora che sono stati bloccati da tre poliziotti. Uno dei tre ha chiesto dei soldi a Ahmed, allora il giovane ingegnere si è allontanato per recarsi a un bancomat a prelevare la somma richiesta di 300 dinari.

Quando Ahmed e un poliziotto si sono allontanati “gli altri due mi hanno chiesto cosa potevo dare loro. Ho tirato fuori 40 dinari. Ma loro mi hanno portato sulla loro macchina e mi hanno violentata per quattro volte”. Uno dei poliziotti ha preso la macchina per portarla più lontano e poi hanno cominciato a stuprarla. Un’ora più tardi l’hanno riportata indietro per violentarla ancora una volta ciascuno, mentre Ahmed, tornato sul luogo, era testimone della scena. Inutilmente ha cercato di fermare i poliziotti che poi si sono allontanati.

La coppia, sotto shock, si è recata all’ospedale, dove i medici si sono rifiutati di certificare lo stupro. Allora, i due giovani si sono fatti coraggio e sono andati al commissariato per denunciare la violenza, ma si sono trovati davanti i loro aggressori. “La polizia, per lasciarci andare, ci ha costretti a dichiarare che eravamo stati scoperti in un atteggiamento immorale. Ero sfinita e abbiamo firmato”. “Molti si comportano come mafiosi. Nonostante la rivoluzione nulla è cambiato”, commenta Meriem.

La coppia è stata sostenuta da migliaia di tunisini che hanno manifestato per loro, ma non ne possono parlare ai loro familiari, solo le sorelle e la mamma di Meriem lo sanno. “E mia mamma mi ha persino chiesto di perdonare i poliziotti!”, dice Meriem piangendo.

“All’inizio mi sono fatta forza. Ma è molto difficile. Mi sono aiutata con medicine, non riesco più a dormire. Penso sempre a quello che ho dovuto subire, è un incubo continuo. Ho una paura terribile di finire in prigione. In nessun istante ho avuto l’impressione di essere considerata una vittima. E’ come se fossi responsabile di quello che mi è successo”. “Voglio che sia fatta giustizia. Poi vorrei ritrovare una vita normale e magari lasciare il paese dove siamo considerati troppo spesso come degli oggetti”. “Lasciare questo paese è una questione di sopravvivenza”, conclude Meriem.

Campagna di intimidazione contro le donne
Purtroppo il caso di Meriem non è isolato.

Quella che si sta vivendo in Tunisia è una vera e propria “campagna” di intimidazione contro le donne portata avanti dalla polizia, ha denunciato l’Associazione tunisina della donne democratiche (Atfd). In nome della “protezione della morale”, ha affermato durante una conferenza stampa Ahlem Belhadj, presidente dell’Associazione, le donne sono vittime di pressioni esercitate negli spazi pubblici e soprattutto durante le loro uscite notturne. Belhadj ha accusato “alcuni partiti retrogradi di voler imporre alle donne un nuovo modo di vita con la benedizione delle istituzioni dello Stato”. Il partito islamista Ennhadha al potere non ha mai fatto nulla per proteggere le donne, anzi si è fatto promotore nell’Assemblea costituente del riconoscimento dei diritti delle donne sono in quanto “complementari” del maschio. Posizione che per ora fortunatamente è stata respinta.

Molte donne hanno denunciato le molestie sessuali subite dai poliziotti proprio all’Atfd, che da molti anni si occupa della difesa dei diritti delle donne.
Raafat Ayadi, interprete e modella, ha denunciato pubblicamente la violenza subita una sera mentre tornava a casa. “Il 5 luglio, sono stata picchiata, insultata e ammanettata da due giovani poliziotti che giudicavano il mio abbigliamento indecente. E poi mi hanno fatto firmare una dichiarazione senza che potessi conoscerne il contenuto”, ha raccontato la donna. Che ha aggiunto: “Agiscono come una polizia religiosa e sembrano avere delle istruzioni”.

L’Atfd ha allertato l’Assemblea costituente sulle implicazioni della polizia in numerosi casi di molestie sessuali avvenute in tutto il paese, ma i responsabili politici continuano a parlare di “casi isolati”.
Naturalmente il caso più grave resta quello di Meriem.

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