La Tunisia entra nella seconda repubblica. Domani, infatti, per la seconda volta in un mese, i tunisini sono chiamati alle urne per eleggere il presidente della Repubblica. Si tratta di un voto storico – anche se il presidente della repubblica non ha grandi poteri – perché per la prima volta i tunisini avranno la possibilità di scegliere tra ben 22 candidati (cinque si sono ritirati negli ultimi giorni).
Comunque troppi. Il che rischia una dispersione di voti ma, come hanno già dimostrato le elezioni legislative del 26 ottobre, la maggior parte dei candidati raccoglierà solo le briciole. In realtà in lizza non saranno più di quattro candidati. Questa frammentazione tuttavia impedirà probabilmente una vittoria al primo turno (occorre superare il 50 per cento dei voti) e si dovrà ricorrere al ballottaggio del 26 dicembre.
La campagna elettorale è stata soprattutto animata da un duello senza risparmio di colpi bassi tra i due maggiori contendenti (confermati anche dai sondaggi, vietati): l’87enne leader di Nidaa Tounes (Appello della Tunisia, un partito laico di centro, che ha vinto le elezioni di ottobre) Beji Caid Essebsi e il presidente uscente Moncef Marzouki (il cui partito, il Congresso per la repubblica, è stato invece ridotto a quattro deputati).
Lo scontro bipolare tra laici e islamisti delle elezioni politiche ora si gioca dietro le quinte perché gli islamisti di Ennahdha non hanno un loro candidato ufficiale. Ennahdha è rimasta spiazzata dalla sconfitta elettorale alle politiche. Gli islamisti infatti proponevano una candidatura presidenziale concordata (e anche un governo di unità nazionale) che non è però stata accettata da Nidaa Tounes. Ennandha, dopo la sconfitta, ha cercato di recuperare terreno proponendo l’appoggio a Essebsi in cambio di alcuni ministeri nel futuro governo, ma il candidato di Nidaa Tounes ha preferito mantenere le mani libere ben sapendo che un accordo con gli islamisti sarebbe andato contro il proprio elettorato. Tutto è rinviato a dopo le elezioni presidenziali.
E allora si è aperta la caccia al voto islamista: il favorito è Moncef Marzouki, che non ha una propria base elettorale e che ha incassato l’appoggio dell’ex capo del governo e dirigente di Ennahdha Hamadi Jebali. L’ex primo ministro avrebbe voluto candidarsi, ma il suo partito ha scelto la non candidatura.
Marzouki, ex presidente ad interim e già militante per i diritti umani, non solo è sostenuto da islamisti che contano, ma si fa appoggiare dall’ala più estrema, la milizia armata di Ennahdha, rappresentata dalla Lega per la difesa della rivoluzione. Questi miliziani sono responsabili di attacchi – anche mortali – a uomini politici, sindacalisti e democratici. Proprio la settimana scorsa il segretario generale dell’Unione generale dei lavoratori tunisini, Houcine Abbassi, è stato assalito mentre usciva dalla sede del sindacato, lui ne è uscito illeso, ma la macchina è stata distrutta.
Le promesse di Marzouki sono quelle che avrebbe dovuto mantenere negli scorsi tre anni di presidenza – rafforzare la democrazia e migliorare le condizioni delle comunità più emarginate del centro e del sud del paese –, che riconosce di aver disatteso ma ora dice di avere imparato il mestiere. Chi sarà ancora disposto a dargli fiducia? La sua campagna è stata molto aggressiva contro Essebsi, per la sua età (un dato di fatto) e spargendo voci di una sua presunta malattia, ma soprattutto perché rappresenterebbe un ritorno al passato.
Il candidato di Nidaa Tounes è stato ministro di Bourghiba e non ha mai nascosto le sue simpatie per quel presidente tanto da fare il suo primo comizio a Monastir davanti al suo mausoleo. È stato anche presidente del parlamento durante la dittatura di Ben Ali, ma nel 1991 si è ritirato dalla vita politica. Tornato sulla scena con la rivoluzione, ha ricoperto il posto di primo ministro dal febbraio al dicembre 2011. Essebsi non nasconde che nel suo partito ci sono esponenti del vecchio regime ma anche esponenti democratici e di sinistra. Tra l’altro contro l’esclusione di tutti gli ex esponenti del partito unico (Rcd) si era espressa anche Ennahdha: questa è sempre una questione cruciale dopo la fine di tutte le dittature. Comunque Nidaa Tounes è stato visto dall’elettorato tunisino che l’ha votato come l’unico partito laico in grado di sconfiggere gli islamisti, di garantire la sicurezza e anche di migliorare la situazione economica.
Il candidato più giovane è il 42enne Slim Riahi, milionario che si è arricchito in Libia ed è tornato in Tunisia dopo la caduta di Ben Ali ed è diventato popolare soprattutto dopo l’acquisto della squadra tunisina più titolata, il Club africano. Alle scorse elezioni l’Unione patriottica libera, il partito di Riahi, ha ottenuto 16 seggi.
In lizza vi è anche un noto personaggio della sinistra, Hamma Hammami, leader del Fronte popolare, che ha visto due dei suoi prestigiosi esponenti assassinati nel 2013. Oppositore, imprigionato e torturato ai tempi della dittatura, accusa gli altri candidati di aver tradito gli obiettivi della rivoluzione. Forte del suo quarto posto in parlamento otterrà i voti anche di quelle forze della sinistra che sono scomparse dal panorama politico.
Ma ci sarà anche chi sceglierà l’unica donna candidata, Kalthoum Kennou, giudice, e già presidente dell’Associazione tunisina dei magistrati. Magistrato indipendente e inflessibile, tanto da emettere un mandato di cattura contro Moez Trabelsi, cugino della moglie di Ben Ali, che per ritorsione era stata poi trasferita da Tunisi a Kairouan e poi a Tozeur, un’oasi nel deserto. Una candidatura per la difesa dei diritti delle donne tunisine e di tutto il mondo arabo, dice Kennou.
Nonostante le accuse di sperpero di denaro pubblico, dell’uso scorretto dei media, la Tunisia con il voto presidenziale avanza nella sua rivoluzione, affrontando uno a uno tutti gli ostacoli.
il manifesto 22 novembre 2014