Sono 186.000 gli agenti mobilitati per controllare i 27.582 seggi elettorali dove oggi si voterà per l’elezione del nuovo presidente algerino. Nuovo si fa per dire perché tutto lascia prevedere che sarà confermato per la quarta volta Abdelaziz Bouteflika. Che è ricomparso in pubblico solo negli ultimi giorni della campagna elettorale. Qualche mese fa il suo stato di salute – l’anno scorso in seguito a un ictus curato in Francia era rimasto fuori gioco per nove mesi – faceva ritenere la sua ricandidatura improbabile. Ma proprio durante la sua assenza un rimpasto di governo aveva piazzato tutti i suoi uomini nei posti chiave per gestire le ele-zioni presidenziali. In seguito la sua ricandidatura da parte del Fln (ex partito unico che è tornato ad essere il primo partito) aveva smentito ogni ragionevole possibilità di cambiamento.
Che cosa ha indotto Bouteflika a ricandidarsi? Probabilmente il fatto che non si è ancora individuato un successore che accontenti tutti i poteri forti. E infatti nessuno mette in dubbio la rielezione di Bouteflika. A sfidarlo è ridisceso in campo, come dieci anni fa, Ali Benflis, ex primo ministro (nel 2001), che riempie le piazze spiegando il suo «progetto di rinnovamento nazionale» che riguarda l’indipendenza della giustizia, il pluralismo politico e la libertà di stampa. Ma anche dieci anni fa le piazze piene avevano illuso molti oppositori del presidente che fosse possibile un’alternativa.
Tra i sei candidati alle presidenziali vi è anche, per la terza volta, Louisa Hanoune, segretaria generale del Partito dei lavoratori. L’unica donna e la sola tra i candidati a sollevare la questione dei diritti delle donne e a chiedere la cancellazione del codice della famiglia «oscurantista, discriminatorio e contrario all’articolo 29 della costituzione che considera i cittadini uguali davanti alla legge». Per questo Louisa Hanoune propone di sostituire il codice con una legge civile che garantisca l’uguaglianza davanti alla legge tra donna e uomo. Gli altri candidati o negano il problema (Abde-laziz Belaid del Fronte el Moustakbel costituito nel 2012), oppure lo riducono alla necessità di sostenere la famiglia (Ali Fawzi Rebaine e Moussa Touati). Non credendo in queste elezioni molti partiti boicottano la scadenza elettorale (sia gli islamisti che l’opposizione di sinistra forte soprattutto in Kabilyia).
Non solo, contro il quarto mandato per Bouteflika – la costituzione ne prevedeva due e un emendamento approvato prima delle elezioni del 2009 ha eliminato questo «ostacolo» – è nato un movimento di cittadini che si chiama «Bara-kat» (Basta) e che ha organizzato iniziative durante la campagna elettorale sia ad Algeri che nel resto del paese. Barakat, sostiene Mustapha Benfodil, è disposto a collaborare con «tutti coloro che lavorano per il cambiamento» sottolineando che «Barakat non è un movimento insurrezionale».
È Amira Bouraoui, ginecologa, 38 anni, madre di due figli, la figura più in vista del movimento, nato il 1 marzo dopo l’annuncio della ricandidatura di Bouteflika. Le manifestazioni di Barakat prima sono state represse poi si è cercato di denigrare il movimento con le accuse, da sempre abusate, d’implicazioni in complotti contro l’Algeria orchestrati da paesi stranieri. Barakat (oltre 32.000 fan su Facebook) non ha intenzione di farsi intimidire e ha annunciato denunce contro i responsabili della campagna di Bouteflika per «attentato all’onore» dei membri del movimento.
Ma anche Ali Benflis entra nel mirino del presidente per aver paventato tentativi di frode e aver chiesto ai funzionari dello stato di assumere le loro responsabilità. Per Bouteflika, che se ne lamenta con il ministro degli esteri spagnolo, si tratta di «appelli alla ribellione». Gli algerini sono sensibili a possibili interferenze straniere e non hanno apprezzato che il presidente abbia parlato di problemi interni a un esponente del governo spagnolo. Se finora la minaccia di un intervento straniero era l’ossessione della trotzkista Hanoune, ora sembra essere condivisa anche da Bouteflika. Si tratta di tattica elettorale: resuscitare la paura del caos e del terrorismo che aveva garantito a Bouteflika di vincere nel 1999, oppure Bouteflika teme che Barakat, che si definisce movimento per il cambiamento pacifico, possa diventare il motore di una nuova rivolta?
Del resto, in modo non violento il movimento è per la fine del bouteflikismo: «Noi non siamo né un movimento di élite né un movimento di massa, siamo un movimento di cittadini pacifici. Siamo una forza di proposta e di azioni. Siamo persone pacifiche e pacifiste e operiamo per la fine del sistema».
il manifesto 17 aprile 2014