Perché il regime ha paura di Sakineh | Giuliana Sgrena
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Perché il regime ha paura di Sakineh

contro la condanna alla lapidazione

Perché il regime ha paura di Sakineh
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8 Settembre 2010 - 11.52


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L”apparizione del primo raggio del nuovo quarto di luna sarà funestata dalla morte di Sakineh? Il mese sacro del Ramadan sarà celebrato in Iran con la lapidazione di una donna? L”onore di una società patriarcale sarà santificato con il sangue di una «adultera»? Perché il mondo occidentale, che sobbalza a ogni notizia che riguarda il nucleare iraniano (ma non quello israeliano, pachistano…), non ha chiesto le sanzioni contro l”Iran per la questione ben più valida dei diritti umani, del diritto alla vita? Non vogliamo difendere le sanzioni come mezzo di costrizione, sappiamo che penalizzano solo le popolazioni e non i potenti, vogliamo solo sottolineare l”ipocrisia del mondo occidentale che fa della democrazia il pretesto per sanguinose guerre (Iraq, Afghanistan, etc.) ma non è disposto a difendere i diritti universali soprattutto quando sul patibolo sale una donna. Sakineh Mohammadi Ashtiani, 43 anni, vedova e madre di due figli, è stata condannata alla lapidazione per adulterio. Non è il primo caso in Iran e non sarà l”ultimo. E non solo in Iran, ma anche in Arabia saudita, Afghanistan, Iraq, Bangladesh, Nigeria e molti altri paesi musulmani. Sono sempre le donne a dover salvare l”onore del marito, del maschio, della famiglia. Assolta dall”accusa di complicità nell”uccisione del marito non ha ottenuto la libertà, ha subito prima la fustigazione (99 frustate) e poi, speriamo di no, forse la condanna a morte in una delle sue modalità più atroci. Per completare il macabro spettacolo è stata costretta anche a confessare le proprie colpe in tv. Ma di quale adulterio si tratta se non aveva nemmeno il marito? L”ossessione del controllo della sessualità rende la donna un oggetto nelle mani di un marito, di un carceriere o di un regime teocratico. Perché le donne sono così pericolose agli occhi dei fondamentalisti accecati dal fanatismo? Perché la rivendicazione dei loro diritti cambia la natura dello scontro in atto in Iran, rende evidente l”impossibilità di una riforma del regime teocratico e dà alla rivolta iraniana – che continua, anche se con battute d”arresto dovute alla feroce repressione – un potenziale sovversivo. Uno stato islamico è incompatibile con i diritti delle donne. Il mondo occidentale ha reagito, soprattutto le donne si sono mobilitate per Sakineh e speriamo che questo possa salvarle la vita. Se sarà possibile non dovremo tuttavia abbandonare la lotta. Altre Sakineh vivono dietro le sbarre di prigioni come Tabriz o Evin. Nel famigerato carcere di Evin è detenuta da sabato scorso anche Nasrin Sotoudeh, avvocata impegnata nella difesa dei diritti dei minori in carcere, dei detenuti politici e anche della premio Nobel Shrin Ebadi. Convocata per un interrogatorio, al quale non ha potuto assistere nemmeno il suo avvocato, non è più uscita dal carcere. Questa barbarie va fermata con tutti i mezzi. Se Sakineh morirà, con lei avremo perso anche una parte della nostra libertà. A che serve una lotta per la difesa dei diritti umani se non riusciamo a salvare una donna, le donne, dalle pietre affilate dei boia? La mobilitazione serve a farle sentire meno sole e isolate, a dare loro la forza di resistere contro l”arroganza di regimi guidati da fondamentalisti come Ahmadinejad. «Ma come fanno a prepararsi a mirare al mio viso e alle mie mani, a lanciarmi delle pietre?» si chiede Sakineh dal carcere di Tabriz, e aggiunge che ha paura di morire. E noi abbiamo paura che lei possa essere lapidata.’

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