600 mila morti dopo | Giuliana Sgrena
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600 mila morti dopo

sette anni e mezzo di guerra

600 mila morti dopo
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20 Agosto 2010 - 11.52


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Il 20 marzo 2003 iniziavano i bombardamenti su Baghdad. Una guerra scatenata dal delirio bellico di Bush e i suoi alleati che dopo l”attacco all”Afghanistan si avventuravano in Iraq con il falso pretesto delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam. Le «prove» costruite a tavolino e presentate dal segretario di stato Colin Powell al Consiglio di sicurezza dell”Onu non avevano convinto le Nazioni unite. Ma la macchina da guerra era già in moto e la «coalizione dei volonterosi» in marcia. Tuttavia la guerra non sarebbe stata quella scampagnata promessa da Bush ai suoi soldati. Il 9 aprile le truppe americane occupavano Baghdad. Gli iracheni erano contenti della caduta di Saddam ma non di come era avvenuta, con l”occupazione del loro paese. Nessuno ha festeggiato l”arrivo degli occupanti, tutti gli iracheni erano chiusi in casa, anche se le immagini trasmesse dalle tv occidentali tendevano a dimostrare il contrario. Così quando è caduta la statua di Saddam sulla piazza Firdous, gli iracheni che si vedevano non erano la popolazione locale ma i collaboratori delle centinaia di giornalisti stranieri presenti a Baghdad, cui si erano aggiunti gli «embedded» arrivati con le truppe. Nei primi giorni di occupazione si erano scatenati i saccheggi, più per vendetta e per vandalismo che per necessità. Presi di mira gli uffici pubblici – ministeri, uffici di polizia e carceri -, gli ospedali, la biblioteca nazionale e il museo. Sotto l”orda distruttrice finivano i simboli del potere ma anche il patrimonio storico e culturale del paese. Il disorientamento lasciava presto spazio all”ostilità contro gli occupanti: l”orgoglio della popolazione irachena si scontrava con l”arroganza e la brutalità dei soldati di occupazione. Le perquisizioni di notte nelle case quando la gente dormiva, la caccia ai ribelli, sparatorie e distruzioni di case hanno alimentato la resistenza, sia quella pacifica che quella armata. La scintilla della rivolta era scoppiata alla fine di aprile (2003) a Falluja, una cittadina a 50 chilometri a ovest di Baghdad, quando gli americani avevano sparato sulla folla che protestava per l”occupazione di una scuola. Da allora Falluja sarebbe diventata un «laboratorio» dell”evoluzione della situazione irachena. Per gli americani era un simbolo della resistenza da distruggere ad ogni costo, soprattutto in vista delle elezioni del 2005. Attaccata nell”aprile del 2004 e poi ancora massicciamente nel novembre dello stesso anno, la città era stata ridotta in macerie, con l”uso anche del fosforo bianco. Il caos creato dall”occupazione e dalla decisione del proconsole americano Paul Bremer di sciogliere l”esercito e mettere fuori legge il partito Baath avrebbe lasciato incontrollate le frontiere (permettendo l”arrivo dei terroristi di al Qaeda) e creato un vuoto oltre che di potere anche istituzionale. Tutti i quadri del governo e dei ministeri erano infatti iscritti al partito unico e dopo la sua messa fuori legge erano spariti. I soldati armati e addestrati lasciati senza lavoro e allo sbaraglio sono andati ad alimentare i gruppi della resistenza che agivano soprattutto nel centro del paese (sunnita). In alcuni casi vi è stata un”alleanza tra alcuni gruppi della resistenza e elementi di al Qaeda, finché non è apparso evidente che gli obiettivi non erano gli stessi: la resistenza voleva liberare l”Iraq dall”occupazione, i jihadisti combattere la guerra santa contro gli infedeli. Che per al Qaeda erano soprattutto gli sciiti, considerati traditori dell”islam. Sono stati i religiosi sunniti a sconfessare coloro che uccidevano altri iracheni. Comunque la violenza era innescata e non colpiva solo gli occupanti, anzi la maggior parte delle vittime erano civili, che si trovavano tra il fuoco americano e quello dei terroristi. Gli anni più duri sono stati tra il 2005 e 2007, quando molti iracheni (oltre 2 milioni) sono fuggiti in Siria e Giordania. La violenza è continuata fino a quando il generale Petraeus, resosi conto degli errori commessi da Bremer e del fatto che solo gli iracheni erano gli unici in grado di combattere il terrorismo, ha fatto un accordo con alcuni gruppi armati e tribali sunniti riunitisi nei Consigli del risveglio. I Consigli, armati e finanziati dagli americani, avrebbero combattuto al Qaeda e alla fine sarebbero entrati a far parte dell”esercito (vero obiettivo dei combattenti). I gruppi sunniti in effetti erano riusciti a riportare la sicurezza nel centro del paese, ma il premier al Maliki non voleva saperne di far entrare i 100.000 combattenti dei Consigli del risveglio nell”esercito (formato quasi esclusivamente da sciiti), alla fine ne ha accettato 25.000 promettendo una soluzione per gli altri, non ancora trovata. Nel frattempo, soprattutto in vista delle elezioni del marzo 2010, sono tornati in azione i gruppi di al Qaeda che si erano ritirati a nord, nelle zone più instabili di Mosul e Kirkuk. La lotta per il potere non risparmia colpi. Interessati al controllo e/o alla destabilizzazione dell”Iraq non sono solo gli americani e gli iraniani (che controllano i gruppi sciiti), ma anche i paesi vicini. Le elezioni del 2005 erano state vinte dall”Alleanza di partiti religiosi sciiti che avevano avuto buon gioco perché i sunniti boicottavano il voto e soprattutto perché il leader sciita, il grande ayatollah al Sistani, aveva emesso una fatwa (sentenza religiosa) in favore del voto all”alleanza sciita. Nelle recenti elezioni (7 marzo 2010) i religiosi sciiti si sono presentati divisi e soprattutto la commistione tra religione e politica ha perso appeal. Infatti ha vinto la lista laica e nazionalista, al Iraqiya, guidata dallo sciita Allawi, ma di misura con 91 seggi sui 325 del parlamento. La lista del premier al Maliki ha ottenuto 89 seggi, gli altri religiosi sciiti 70. Subito dopo il risultato, l”Iran ha indotto i religiosi sciiti a riunirsi (insieme hanno 159 seggi, 4 in meno della maggioranza), ma non riescono a formare il governo perché il leader radicale sciita Muqtada al Sadr non vuole al Maliki premier. Gli americani sponsorizzano un”alleanza tra Allawi e al Maliki, ma il leader di al Iraqiya ha interrotto le trattative per il comportamento settario di al Maliki. Tutto in alto mare dunque, ma gli americani non rinviano il ritiro.’

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