Braccio di ferro sul governo | Giuliana Sgrena
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Braccio di ferro sul governo

Cinque mesi dopo il voto, lotta Iran-Stati uniti

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28 Luglio 2010 - 11.52


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Le riunioni del parlamento iracheno stanno diventando una farsa. Dal voto del 7 marzo l”assemblea si è riunita ieri per la seconda volta. La prima seduta del 14 giugno era durata 14 minuti senza concludere nulla, la seconda non è andata meglio: rinviata a tempo indeterminato per l”impossibilità di eleggere il presidente a causa del totale disaccordo tra i vari schieramenti politici. I rappresentanti delle forze politiche hanno deciso che la sessione «rimarrà aperta» fino a quando non sarà raggiunto un accordo sulle nomine alle tre massime cariche istituzionali del paese: la presidenza della repubblica, la presidenza del consiglio dei ministri e la presidenza del parlamento. Da quasi cinque mesi i leader politici sono impegnati in un braccio di ferro per giungere alla designazione di un nuovo premier, compito arduo visti i risultati elettorali. Le elezioni hanno infatti visto la vittoria di misura della lista laica al Iraqiya, guidata da Iyad Allawi, con 91 seggi contro gli 89 ottenuti dalla coalizione per lo Stato di diritto del premier uscente Nuri al Maliki. Subito dopo i risultati elettorali, a Tehran, si erano riuniti i partiti religiosi sciiti – quello di al Maliki con la coalizione più radicale – e avevano dato vita a un nuovo blocco sciita (lo stesso che si era presentato unito nel 2005). Questi partiti insieme raggiungono i 159 seggi e si avvicinano alla maggioranza dei 325 scanni del parlamento. I quattro deputati mancanti non sono difficili da trovare o da comprare, ma gli ostacoli vengono dall”interno del blocco, infatti il leader radicale Muqtada al Sadr non accetta un secondo mandato per Nuri al Maliki, nonostante le concessioni che questi è disposto a fare: liberazione dei prigionieri dell”esercito al Mahdi (le milizie di Muqtada) e ministeri. Muqtada al Sadr non dimentica che era stato proprio al Maliki a mandare l”esercito a Bassora e a Sadr city a combattere i suoi miliziani. Muqtada nei giorni scorsi ha incontrato a Damasco il leader laico Iyad Allawi. Il pragmatismo del leader sciita radicale non sembra estraneo ai disegni dei suoi protettori iraniani che puntano su un governo loro alleato a Baghdad nel momento in cui gli americani dovrebbero ritirare il grosso delle truppe (entro agosto). Tehran vuole sfilare ogni carta dalle mani di Obama. Finora gli americani non hanno indicato un «loro» premier, si sono limitati, con la visita a Baghdad del vicepresidente Joe Biden il 4 luglio, a fare pressioni per accelerare la formazione di un governo «indipendente da interferenze esterne», tranne le loro naturalmente. In questo momento tuttavia l”Iran sembra avere le carte più forti, anche se gli americani in Iraq hanno il loro esercito e potrebbero rinviare il ritiro scontrandosi però con le promesse della Casa bianca di rafforzare la presenza in Afghanistan. Questo braccio di forza è letale soprattutto per gli iracheni: il vuoto di potere lascia spazio a un ritorno del terrorismo che colpisce sciiti, sunniti anti-al Qaeda e anche giornalisti, come quelli di al Arabiya, target di un nuovo attentato lunedì scorso.’

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