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- Menoreligione nelle urne, e maggioranza sciita spaccata. Sulle grandinovità alla vigilia del voto di domani pesa però l”incognita dellacaccia alle streghe contro i candidati ex membri del regime di Saddam
Le rassicurazioni del governo iracheno non sono bastate atranquillizzare gli elettori in vista del voto di domani. Gli attentatidegli ultimi giorni hanno dimostrato che la situazione non è affattosotto controllo, soprattutto nelle zone più «difficili», come Baquba, anord di Baghdad. Probabilmente sarà proprio questo ritorno dellaviolenza ad aver influenzato quegli elettori che hanno dichiarato diaver perso la fiducia nel premier Nuri al Maliki. Secondo il sondaggiorealizzato dall”istituto governativo «National media center», lapartecipazione al voto di domenica sarà inferiore a quella del 2005(79,63% a livello nazionale) con un 57% tra gli arabi e il 67% tra ikurdi. Sempre secondo lo stesso sondaggio – l”unico disponibile – intesta, con il 29,9% dei voti, risulta il partito del premier Nuri alMaliki, la Coalizione per lo stato di diritto.
Laprima novità di questa tornata elettorale è rappresentata dal profilobasso mantenuto dal grande ayatollah al Sistani, il leader sciitafautore della vittoria della coalizione sciita nel 2005, quando con unafatwa (sentenza coranica) invitò a votare per la lista confessionale -l”Alleanza unita irachena – guidata dall”ayatollah Abdelaziz al Hakim,scomparso lo scorso anno. Non che il settantanovenne al Sistani abbiarinunciato a una fatwa elettorale, ma questa volta si è limitato asottolineare l”importanza del voto, definito «più importante dell”oro».Certamente i timori dell”astensionismo inquietano la Marjaiya (ilvertice religioso sciita con sede a Najaf e presieduta dall”ayatollahal Sistani) perché potrebbe diminuire il peso degli sciiti, cheattualmente governano il Paese.
A determinare la posizione degliayatollah, che in questa occasione non danno indicazione di voto, è ladivisione in campo sciita. La frattura tra le due maggiori correntireligiose sciite rappresenta il primo, grande cambiamento politico allavigilia di questo voto.
Il partito Dawa, guidato dal premier alMaliki, si presenta da solo con la Coalizione per lo stato di diritto.Il nome del suo gruppo è in netta contraddizione con il comportamentodel premier sempre più autoritario è poco rispettoso dei diritti, maevidentemente con questo maquillage pensa di fare il pieno di voti. Inun momento in cui la religione non sembra più essere l”elementotrainante della politica – e l”ayatollah ha vietato di usare la suaimmagine – il Dawa, il partito religioso storico iracheno, sembrapersino imbarazzato dalla propria natura. Soprattutto, non potevapresentarsi con il vecchio alleato Scii (Consiglio supremo islamicodell”Iraq) ora guidato dal figlio di al Hakim che ha formato unacoalizione con il movimento sciita radicale di Muqtada al Sadr, che alMaliki ha combattuto militarmente. L”Alleanza nazionale irachena (Ina,questo il nome assunto dalla nuova lista confessionale sciita) oltre aidue partiti di al Hakim e al Sadr comprende anche Fadhila, unascissione sadrista di Bassora, e il gruppo dell”ex primo ministroIbrahim Jafar, espulso dal partito Dawa. Con loro anche Ahmed Chalabi,uomo degli americani che aveva appoggiato l”invasione prima di caderein disgrazia con l”accusa di fare il doppio gioco a favore degliiraniani. In questa complicata e litigiosa galassia sciita il grandeayatollah non poteva schierarsi rischiando di perdere la sua autoritàmorale su tutti gli sciiti.
Secondo il sondaggio del Nationalmedia center, l”Ina raccoglierebbe il 17,2% dei voti superata daIraqiya con il 21,8%. Anche Iraqiya è guidata da uno sciita, l”ex primoministro Iyad Allawi, già alleato degli americani, che ha formato unacoalizione laica e nazionalista che si presenta come alternativa aipartiti religiosi. Un raggruppamento in cui sono confluiti il Frontenazionale per il dialogo (laico sannita) di Saleh al Mutlaq e idemocratici indipendenti guidati da Adnan Pachachi (ottuagenario exambasciatore). L”«Iraq agli iracheni» è lo slogan di questa formazioneche si propone di difendere la laicità e l”unità dell”Iraq, temi carianche agli ex-baathisti. Che Iraqiya possa rappresentare una sfida peril premier al Maliki lo si intuisce anche dalla prevista visita diAllawi a Teheran (per ottenere l”avallo dei mullah che grande influenzahanno sull”Iraq?). Oltre che dal fatto che il governo ha scatenato,proprio alla vigilia delle elezioni, una vera e propria caccia agliex-baathisti utilizzando la Commissione per la responsabilità e lagiustizia (il nuovo nome della commissione per la debaathizzazione).All”inizio dalle liste elettorali erano stati sospesi 500 candidati,ora ridotti a 145, accusati di aver fatto parte del vecchio regime. Trai politici non riammessi della lista Iraqiya vi è anche al Saleh alMutlaq, leader molto popolare tra i sunniti laici. Con la stessa accusasono stati arrestati anche militanti che stavano facendo campagnaelettorale per Iraqiya nella provincia di Salahaidin (dove si trovaTikrit, città natale di Saddam).
Non solo. La caccia alle streghecontro presunti ex baathisti è stata lanciata anche in tutte leamministrazioni locali elette lo scorso anno nelle aree sciite, sempreavvalendosi della stessa Commissione per la responsabilità e lagiustizia e di una legge varata nel 2008. Cominciano a girare le listenere di proscrizione, c”è chi parla di 1.000 iscritti, chi di poco piùdi cento. Ma perché si è aspettato sette anni dopo la fine del regimedi Saddam? E perché le persone responsabili non sono state denunciate atribunali perché verificassero le loro responsabilità? Si trattaevidentemente di un gioco molto sporco che rischia di far riprecipitareil paese nella guerra fratricida seguita alle elezioni del 2005.«Stanno cercando di dividere nuovamente il popolo, questa volta usandolo schema baathista o non baathista», sostiene un esponente del Frontenazionale per il dialogo, Haidar al Mullah.
Peraltro, proprio incontrasto con la politica del premier, soprattutto sulle questionidella sicurezza, anche il suo ministro degli interni Jawad al Bolani hacostituito un suo partito, l”Unità irachena, insieme a Ahmed Abu Risha,leader dei Consigli del risveglio, i gruppi sunniti che hannocombattuto al Qaeda in base a un accordo con il generale americanoPetraeus. Anche il primo direttore dei servizi segreti iracheni deldopo Saddam, Mohammed al Shahwani, dimessosi nell”agosto del 2009 perdissensi con il premier al Maliki, si è unito a al Bolani. Tuttavial”impatto di questo nuovo partito sarebbe limitato al 5% dei voti,sempre secondo il sondaggio del National media center.
Un discorso aparte meriterebbe il Kurdistan. L”Alleanza kurda, che comprende i duemaggiori partiti, il Partito democratico di Barzani e l”Unionepatriottica di Talabani, otterrebbe il 10% su scala nazionale, quindisicuramente la maggioranza nella regione, resta da vedere il risultatodella nuova lista kurda del Cambiamento che si era presentata lo scorsoanno per la prima volta nelle amministrative ottenendo un sorprendente17%.
Quel che si può dedurre da questa campagna elettorale, fattapiù in stile occidentale del passato, con le foto dei candidati (perchéla nuova legge elettorale prevede le preferenze) è che lo scontro peril potere non risparmia colpi. Soprattutto chi è al potere non lo vuolecedere. La religione non la fa più da padrone anche se restano alcunipartiti religiosi, ma l”alleanza confessionale sciita si è sfaldata.Contro il premier al Maliki le accuse non arrivano solo dai laicisciiti o sunniti, ma anche da Muqtada al Sadr, che dovrebbe rientrareda Qom (Iran) dove si è ritirato da due anni a studiare.
Silamentano anche le donne: la quota del 25% loro riservata in parlamentoha garantito loro una presenza ma non una partecipazione alledecisioni. Bushra al Ubaidi candidata a Baghdad per l”Alleanza unita hadenunciato il fatto che i maschi dei partiti spesso candidano donnepoco competenti in modo da poterle tenere sotto il loro controlloprendendo a pretesto la loro inesperienza. La difesa dei diritti delledonne è uno dei punti qualificanti della lista di Unità popolareguidata dal Partito comunista che comprende anche caldei e assiridemocratici. Dopo gli attacchi che li hanno presi di mira a Mosul icristiani chiedono protezione per partecipare al voto.
Difficileprevedere se il voto di domenica risponderà alle speranze dicambiamento che ci avevano manifestato molti iracheni durante unrecente viaggio a Baghdad.
Sono molti gli interessi che soffianosull”instabilità dell”Iraq. E non sono solo gli Stati uniti a teneresotto scacco il paese ma anche i paesi vicini che temono ilriaffermarsi sulla scena regionale di una potenza quale potrebbe essereun Iraq sovrano e ricco di oro nero.
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