In nome della bandiera | Giuliana Sgrena
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In nome della bandiera

Motivazioni sentenza Corte assise

In nome della bandiera
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6 Gennaio 2008 - 11.52


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Arroganza? Neocolonialismo che giustifica l”azione degli eserciti e ne garantisce l”impunità di fronte alle peggiori violazioni del diritto internazionale? Le motivazioni che hanno indotto la Corte di Assise di Roma a decidere che l”Italia non ha giurisdizione per giudicare Mario Lozano per l”omicidio di Calipari in nome della «legge della bandiera» fanno trasecolare. Una legge, mai recepita da nessun accordo internazionale ma che ha applicazioni «secolari», sostiene la Corte ricordando che il soldato portava nello «zaino» la documentazione che attestava la propria nazionalità e solo alle leggi del proprio stato era tenuto a rispondere.Tradizioni belliche arcaiche invocate per proteggere le missioni «di pace» della guerra preventiva e impedire che la giustizia faccia il proprio corso. Si parla di «zaino» mentre le guerre sono diventate stellari.Bisogna ragionare in «termini non rigidi né passionali, recependo la necessità di discostarsi dalla nostra cultura giuridica continentale e soprattutto da quella prettamente italiana», si legge nella motivazion della Corte. E perché? Per difendere la «bandiera a stelle e strisce»? Francamente non si capisce perché non ci si debba attenere alla nostra cultura giuridica e peraltro ignorare tutta la discussione che si è svolta in aula con un notevole sforzo di arricchimento dal punto di vista del diritto internazionale.Non vogliamo avallare voci corse su possibili accordi per evitare il processo a Lozano, ma ci saremmo aspettati motivazioni più fondate per evitarlo. E proprio queste motivazioni ci fanno sperare che il ricorso in Cassazione possa avere buon esito per rovesciare la sentenza della Corte di Assise.Naturalmente speriamo di non rimanere soli, insieme a Rosa Calipari e ai suoi figli, a chiedere giustizia per Nicola. A chiedere di sapere la verità su cosa è successo quella sera del 4 marzo 2005 sulla strada dell”aeroporto a Baghdad.Perché una pattuglia mobile era rimasta più di un”ora (di solito non resta più di 15 minuti) nello stesso posto – durante tutta l”operazione del mio rilascio -, perché al comandante della pattuglia è stato detto che doveva aspettare l”ambasciatore Negroponte, che invece era già arrivato a destinazione, perché Lozano ha sparato senza dare nessun segnale, perché ha sparato 57 colpi contro i passeggeri e solo il 58.mo, l”ultimo, contro il motore quando la macchina era già ferma.Sono domande alle quali la commissione d”inchiesta americana – esauriente per la Corte d”Assise mentre non lo è stata affatto per i due italiani, l”ambasciatore Regaglini e il generale del Sismi Campregher, che ne facevano parte – non ha risposto e non voleva rispondere. Per gli Stati uniti il caso Calipari è chiuso. E per il governo italiano che si è costituito parte civile nel processo? Farà ricorso alla Cassazione e sosterrà fino in fondo il diritto di sapere la verità sulla morte di Calipari oppure rinuncerà alla propria sovranità in nome dell”amicizia con gli Stati uniti?’

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