La grande fuga finisce a Damasco | Giuliana Sgrena
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La grande fuga finisce a Damasco

Tra i profughi iracheni in Siria

La grande fuga finisce a Damasco
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22 Dicembre 2007 - 11.52


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A una decina di chilometri dal centro di Damasco, nel quartiere Sayyida Zeinab, sembra di essere a Baghdad: irachene tutte le insegne dei negozi, ristoranti, agenzie di viaggio. Iracheni i venditori ambulanti seduti sui marciapiedi, spesso bambini, che cercano in questo modo di sbarcare il lunario. Anche se i profughi in Siria, compresi quelli che hanno ottenuto la residenza, hanno il divieto di lavorare. A riportare alla realtà sono i ritratti di Assad padre e figlio, che si impongono ovunque e anche qui, tra gli iracheni, peraltro già abituati alla ossessionante iconografia di Saddam. Qua e là, in tono minore, appaiono le immagini di una delle figure religiose più celebrate dagli sciiti iracheni, Muhammad Sadeq al Sadr, assassinato a Najaf insieme a uno dei suoi figli nel 1999. Alla celebrità di Muhammad Sadeq deve il suo successo il figlio Muqtada, leader radicale sciita.L”arrivo in massa dei profughi iracheni ha alimentato l”industria delle costruzioni, rigidamente controllata dal regime. I prati che lambivano la città sono trasformati in cantieri, ovunque mucchi di sabbia che si alternano a mucchi di immondizie, la pioggia trasforma le strade in fiumi di fango che rendono il panorama ancora più miserabile. In mezzo al cemento risplende la cupola della moschea che ospita la tomba di Zeinab, meta di pellegrinaggio di molti sciiti, anche iraniani, che non possono più andare a Kerbala e Najaf.In Siria sono arrivati gli iracheni meno abbienti mentre gli ex esponenti del regime hanno riciclato il bottino accumulato ai tempi di Saddam in Giordania, più liberale sul piano economico. Questo non vuol dire che a Damasco non siano arrivati anche ex funzionari del regime che hanno preferito il paese governato dal partito Baath, fratello di quello iracheno, per il miglior trattamento riservato ai profughi. Giordania e Siria sono state le mete preferite o obbligate: sono gli unici due paesi che permettevano l”arrivo di iracheni senza il visto. E così, sebbene le cifre non siano assolutamente certe, si calcola che in Siria siano arrivati 1,5 milioni di iracheni, in Giordania 500.000 e in Libano 300.000. Un esodo che ha avuto un impatto notevole su questi paesi che si sono visti aumentare la popolazione di circa il 10%. Questa presenza comincia a provocare tensioni con la popolazione locale: i profughi vengono accusati di essere i responsabili dell”inflazione in Giordania e dell”aumento dei prezzi degli affitti in Siria. Sebbene i profughi non possano lavorare ufficialmente, sono sfruttati al nero e in qualche caso entrano in conflitto con la manodopera locale.La fuga dall”Iraq non è iniziata con la guerra – come avevano previsto gli organismi internazionali – ma con l”occupazione e i massacri, con le rese dei conti e soprattutto dopo la distruzione della moschea di Samarra, che ha provocato l”esodo anche di molti sciiti, tutti in Siria. Ma dal 1° ottobre Damasco – pare su insistenza di Baghdad – ha imposto il visto, seguita da Amman.Anche i profughi meno abbienti prima di partire hanno venduto i loro averi, quello che era rimasto loro perché molti sono fuggiti dopo che le milizie religiose del campo avverso, impegnati nella pulizia etnico-religiosa, avevano occupato la loro casa. Finiti i risparmi hanno venduto anche l”oro della dote e con questi soldi sono sopravvissuti per qualche mese, ma per molti di loro tutte le risorse ora sono esaurite.Propaganda di regimeAlcuni speravano che prima o poi la situazione in Iraq sarebbe migliorata oppure avevano l”illusione del resettlement in qualche paese occidentale, una strada riservata a pochi prescelti. Su 7012 richieste sottoposte dall”Unhcr per Siria e Giordania ai paesi di accoglienza (Usa, Nuova zelanda, Australia, paesi del nord Europa), fino al 26 novembre, erano riusciti a partire solo 534 iracheni. Per gli altri una vita di stenti oppure il rientro in Iraq.Il governo iracheno ha lanciato una campagna di propaganda per indurre gli iracheni al rientro. Alla tv venivano mostrati bambini che sventolavano bandierine irachene per dare il benvenuto ai rientrati. Immagini da regime, mentre il governo prometteva 800 dollari per le famiglie bisognose e una sistemazione per chi aveva perso la casa. Il primo rientro gratuito organizzato per il 27 novembre, in realtà è partito il 28: 10 pullman con 50 persone ciascuno, scortati da mezzi militari e elicotteri. Alla frontiera cambio di pullman e soprattutto un timbro stampato sul passaporto: per cinque anni non potranno più attraversare questa frontiera. A convincere chi è rientrato – 46.000 secondo il governo di Baghdad, 25.000 secondo la Mezzaluna rossa irachena, di cui 19.000 dalla Siria -, non è tanto la convinzione del miglioramento delle condizioni in Iraq (solo il 14%, secondo un sondaggio dell”Unhcr), ma (il 46%) la mancanza di mezzi per vivere in Siria.E” comunque una decisione difficile, per alcuni impossibile. In una stanza più un corridoio che serve anche da cucina vive Fellah Hassan (35 anni) con la moglie e due bambini (un maschio e una femmina). «Il 19 maggio 2005 ero nel mio negozio di cellulari, a Hilla, quando sono entrati alcuni membri del Jaish al Mahdi (le milizie di Muqtada, ndr) che mi hanno sparato perché secondo loro vendere telefonini e musica è contro l”islam. Una pallottola mi ha colpito la colonna vertebrale e mi ha paralizzato», racconta Fellah. Ora è inchiodato a letto, ha perso l”uso delle gambe e non controlla più nemmeno i bisogni fisiologici. E” venuto in Siria nel maggio del 2006 sperando di poter essere curato, ma nemmeno qui ci sono cure adatte per le sue condizioni e le speranze di andare all”estero sono minime. La famiglia vive con i soldi guadagnati dal figlio di 10 anni vendendo schede telefoniche. Il 10% dei profughi iracheni vivono con il lavoro dei bambini, che così non possono andare a scuola. Dall”Unhcr ricevono le razioni alimentari distribuite attraverso la mezzaluna rossa siriana e hanno avuto 17.000 lire siriane (circa 22 euro), ma all”agenzia dell”Onu chiedono soprattutto un aiuto per far operare Fellah. Per questo all”inizio di dicembre tutta la famiglia ha manifestato per una intera giornata davanti alla sede dell”Unhcr, alla fine due impiegati hanno promesso che in due settimane avrebbero trovato una soluzione, ma finora non è successo nulla. Quando il marito sta male la moglie non riesce nemmeno a sollevarlo: è troppo pesante e i bambini non possono aiutarla perché sono piccoli.L”impossibile rientroIn Siria i profughi fanno la fila per registrarsi presso l”Unhcr, ma occorre aspettare anche quattro mesi per avere l”appuntamento per il colloquio che dà accesso alla registrazione. Finora su circa 1,5 milioni di iracheni solo 143.000 figurano sulle liste dell”Alto commissariato, di questi 51.000 usufruiscono della distribuzione di razioni alimentari ogni due mesi, mentre 7.000 famiglie riceveranno anche 100 dollari al mese (questo tipo di assistenza è partito solo a dicembre con le prime 500 famiglie).C”è anche chi non può rientrare in Iraq nonostante le pessime condizioni di vita in Siria perché è fuggito sotto minaccia. Ciò che sorprende è che qui a Damasco sunniti, sciiti, cristiani e sabei vivono insieme senza problemi, proprio come era prima della guerra in Iraq.Salwa, 43 anni, vive con due bambini in una casa ancora in costruzione. Non è facile trovarla, non ci sono indicazioni, né campanelli, saliamo e scendiamo le scale ricoperte solo di calce di diversi edifici. Finalmente quello giusto, tra gli appartamenti in costruzione qualcuno è già finito e abitato, le porte sono una diversa dall”altra, a seconda delle disponibilità finanziarie, così come le piastrelle del pianerottolo. L”appartamento di Salwa è composto di due piccole stanze e una cucina stretta. Come tutte le altre case dei profughi è desolatamente spoglia, ci sono solo degli strapuntini per terra e la televisione, sempre accessa. E” arrivata a Damasco nel dicembre 2004, dopo che il marito, un ex diplomatico, sequestrato e torturato per sette mesi dalle brigate al Badr (le milizie del Consiglio supremo islamico iracheno), era stato liberato, quasi per caso, durante un rastrellamento dei soldati americani. Fuggiti sotto le minacce si sono stabiliti qui, ma il marito non si è mai ripreso dai problemi di salute causati dalle torture, soprattutto al cuore, e nel giugno 2006 è morto. Ora è rimasta sola con i suoi figli di otto e sei anni, la cognata che prima viveva qui è tornata in Iraq, «dopo che le hanno ucciso il marito non ce la faceva più». Gli iracheni non sono al sicuro nemmeno in Siria, i sicari inseguono le vittime predestinate. Ma Salwa non vuole tornare teme per sé e soprattutto per i suoi figli: «se torniamo ci uccidono, hanno già ucciso mio fratello». E resta, nonostante le difficoltà. Come sopravvive? E l”affitto? «Per la casa pago 7.500 lire al mese (circa 100 euro) ma sono in arretrato di due mesi, non esco nemmeno di casa per paura di incontrare il proprietario. L”Unhcr ci fornisce le razioni di cibo, ma il riso è di pessima qualità, non si può cucinare, ho provato in tutte le maniere» e mi mostra un sacchetto con i minuscoli chicchi. Certo per gli iracheni che coltivano uno dei tipi più pregiati di riso, l”ambar, questo deve risultare proprio indigesto. Le lenticchie non sono meglio e le scatolette di tonno o di formaggio spesso sono scadute. Il latte non è previsto. «Qualche elemosina mi arriva dalla moschea», aggiunge Salwa e ammette di diventare nervosa e anche violenta di fronte alle richieste dei figli.Poveri aiutiSalwa non è l”unica a lamentarsi della pessima qualità del cibo fornito alle famiglie più indigenti dall”Unhcr. In Giordania l”agenzia dell”Onu per i rifugiati affida la distribuzione degli aiuti alle ong internazionali e i profughi non si lamentano, ma in Siria le ong locali non possono occuparsi dei profughi e quelle internazionali non sono state ancora accreditate, quindi il compito è affidato alla Mezzaluna rossa siriana, che non si mostra – almeno alcuni dei suoi funzionari – molto sensibile ai bisogni degli iracheni.Giro le proteste al responsabile del Wfp (che fornisce il riso e le lenticchie) Philip Uwo, il quale mi spiega che il criterio nella scelta delle derrate alimentari è «più l”accettabilità della qualità». Evidentemente anche l”accettabilità è discutibile e si basa solo sulla convenienza del prezzo. Ma Uwo mi assicura che dal 2008 verranno cambiati i fornitori e la qualità dovrebbe migliorare. «Del resto questi iracheni appartengono alla middle class …», commenta per giustificarsi. L”acquisto dello scatolame è invece affidato dall”Unhcr alla Mezzaluna rossa siriana. Infine, per il latte per i bambini, mi dice Uwo, il problema è che non si può comprare latte in polvere perché la qualità dell”acqua non è raccomandabile. E allora? «Dal prossimo anno, l”Unhcr comprerà latte in scatola». Tutto è rinviato al 2008. Si vedrà.’

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