Il film del soldato, tra finzione e realtà | Giuliana Sgrena
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Il film del soldato, tra finzione e realtà

Lozano filma la scena del delitto

Il film del soldato, tra finzione e realtà
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10 Maggio 2007 - 11.52


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Ci sono momenti, terribili, durante una guerra che ti danno l”impressione di trovarti sul set di un film. Deve essere così anche per Mario Lozano se continua a ignorare la realtà del processo che lo vede sul banco degli imputati, anche se solo in contumacia.Innanzitutto, l”equivoco dei protagonisti: ad accusarlo di omicidio volontario di Nicola Calipari non è la comunista Giuliana Sgrena, ma la magistratura italiana, sulla base di perizie effettuate da esperti sulla Toyota Corolla su cui viaggiavamo quella notte a Baghdad. E poi le testimonianze del maggiore del Sismi, Andrea Carpani, e anche le mie.Alla vigilia del processo, che riprende il 14 maggio, è partita l”offensiva mediatica in stile prettamente americano, che non tiene in considerazione le prerogative della giustizia italiana. Si è parlato di processo-farsa. Finché Lozano, o chi per lui, ha deciso di nominare un avvocato di fiducia, affiancato negli Usa da uno stuolo di avvocati noti. Come Eddie Hayes diventato famoso per i processi di mafia, in cui difendeva i mafiosi.Due giorni fa, nuovo colpo di scena, un video trasmesso dal Tg5, di Rossella nel quale si dimostra, contrariamente a quanto sostenuto dalla commissione militare d”inchiesta americana, che i fari della macchina erano accesi e non spenti, nonostante le raffiche di mitragliatrice sparate da Lozano che, evidentemente, invece di colpire la carrozzeria avevano colpito i passeggeri. Peraltro il video non sarebbe stato consegnato alla commissione d”inchiesta statunitense. Allora perché tirarlo fuori proprio adesso, visto che non ci pare un asso nella manica della difesa?Il video era corredato da una serie di foto scattate, anch”esse, dopo la sparatoria: allora Lozano non era così scioccato come diceva di essere e come era comprensibile che fosse. Se il «pacchetto» è veramente opera sua, come lui stesso rivendica, dimostra una agghiacciante freddezza nel riprendere la scena del delitto insistendo sul cadavere di Nicola Calipari. Non solo freddeza, ma anche una sorta di autocompiacimento che ricorda quello dimostrato dai soldati americani quando si facevano riprendere con le loro vittime ad Abu Ghraib.Non ho mai considerato Mario Lozano il principale responsabile di quanto accaduto e, come ho detto ripetutamente, non voglio che diventi un capro espiatorio, anche perché questo impedirebbe la ricerca della verità. Anche Lozano, in fondo, è una vittima della guerra, ma non è il solo. E soprattutto non è stato il solo quella notte del 4 marzo 2005. Lui ha sparato contro la nostra macchina e ha ucciso Nicola Calipari, e ferito me e Andrea Carpani. L”agente del Sismi aveva già liberato altri ostaggi ma nessuno, fortunatamente, gli aveva sparato mentre li portava in salvo.Inoltre è disgustoso il modo in cui Lozano strumentalizza Nicola Calipari: non era un Rambo come lui vorrebbe essere, era una persona per bene, che nonostante un lavoro rischioso manteneva una forte carica di umanità. E il mitragliere non riesce nemmeno a comprendere la dignità di una donna come Rosa Villecco. Tanto meno il fatto che un giornalista per fare il proprio lavoro deve recarsi sul posto per verificare le notizie e non può limitarsi a ricevere i bollettini dei comandi militari. E che anche una guerra deve essere raccontata.Non capisce o non vuole capire, forse semplicemente perché è mal consigliato. Potrebbe essere strumentalizzato anche lui, del resto è difficile immaginare che nella sua situazione possa prendere delle decisioni autonomamente.Invece di andare in Afghanistan a combattere un”altra guerra sarebbe meglio se rimanesse sul set di un film, magari sponsorizzato dal suo avvocato Eddie Hayes, che conosce bene l”ambiente hollywoodiano.’

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