Bamiyan, una strada per Habiba | Giuliana Sgrena
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Bamiyan, una strada per Habiba

intervista a Habiba Sorabi, governatrice di Bamiyan

Bamiyan, una strada per Habiba
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16 Febbraio 2007 - 11.52


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Oggi il presidente afghano Hamid Karzai è a Roma per partecipare alla Conferenza su «Afghanistan: democrazia, giustizia e sviluppo, il ruolo delle donne». Un appuntamento particolarmente significativo alla vigilia del voto al Senato sul rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan. Tra gli invitati alla conferenza, soprattutto tra le donne, ci sono esponenti tra i più rappresentativi e apprezzati della realtà afghana, tra di loro, fortunatamente, non figura nessuno dei tanti signori della guerra al potere a Kabul.Alla conferenza partecipa anche Habiba Sorabi, la prima e unica governatrice dell”Afghanistan. Già ministra degli affari delle donne e prima – ai tempi dei taleban – impegnata ad organizzare scuole clandestine, ha sempre affrontato le sfide più dure con determinazione. Anche perché la provincia che affidatale, quella di Bamiyan, la più povera e isolata, non è certo facile da gestire per una donna. E contro la sua nomina si sono scatenati i fondamentalisti.Perché ha accettato? le chiediamo. «Le donne devono essere un modello di cambiamento», risponde.Per arrivare a Bamiyan e ammirare lo splendido paesaggio – purtroppo gli spettacolari Buddha sono stati distrutti dai taleban – occorre attraversare l”Hindu Kush, una strada impervia e dissestata: per fare 140 chilometri occorrono otto ore. Bamiyan, abitata soprattutto dalla minoranza hazara (cui appartiene Habiba), è stata spesso ridotta alla fame perché isolata in inverno, quanto gli scontri tra i taleban e l”Alleanza del nord, impedivano il passaggio. E infatti, dice Habiba, «il principale problema è l”isolamento, che rende più lento lo sviluppo. La popolazione vive soprattutto di agricoltura, occorre sviluppare altri settori come il turismo, ma senza strada come si fa?»L”impegno per la ricostruzione della strada per Bamiyan non era stato assunto proprio dall”Italia?”I 36 milioni di euro stanziati bastano solo per 40 chilometri su 140, spero che il governo trovi altri soldi. E poi i lavori non sono ancora iniziati, tre anni fa è stato raggiunto l”accordo tra la Cooperazione italiana e il Ministero dei lavori pubblici afghano, il lavoro è stato appaltato ai cinesi, ma è arrivato solo qualche macchinario».Da che cosa dipende?«Non so quale sia il problema». I lavori, secondo le promesse di un responsabile della Cooperazione italiana, avrebbero dovuto cominciare nella primavera del 2006 (www. peacereporter.net).Una situazione che suscita dubbi sia sull”operato della cooperazione che su quello del governo afghano, dove sono ancora presenti molti signori della guerra che con una risoluzione approvata dal parlamento il 1 febbraio si sono garantiti l”immunità.«La popolazione è contro questa decisione, afferma la governatrice. Sono responsabili di crimini che vogliono legittimare la loro posizione, non dovremmo permettere a nessuno di lavorare nel governo per i propri interessi».Ci sono organizzazioni che chiedono l”istituzione di un Tribunale internazionale per giudicare i criminali …«Un tribunale sarebbe senz”altro utile ma non è prevedibile in una situazione come quella afghana, i responsabili di crimini dovrebbero almeno chiedere scusa al popolo per quello che hanno commesso e invece si prendono il potere».In Italia si sta discutendo il rifinanziamento della missione e alcune forze vorrebbero il ritiro delle truppe anche per evitare che vengano coinvolte nei bombardamenti dei civili, visto che Enduring freedom è stata inglobata dall”Isaf.”Se dovessero andare a bombardare sicuramente sorgerebbero problemi con la popolazione, che si sentirebbe tradita. Per l”Afghanistan è necessario che l”Isaf mantenga l”impegno di garantire la sicurezza alla popolazione”.’

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