Gli occhi neri sperduti, a volte assenti, la dura esperienza ha espropriato Malalai Joya, deputata afghana, della sua gioventù, ma questo non le impedisce di accennare un sorriso. Forse a Roma, dove è di passaggio, nella quiete della Casa internazionale, insieme alle Donne in nero e accolta in parlamento da alcuni deputati, può abbassare per un momento la guardia. Figlia di un aspirante medico costretto a interrompere gli studi per diventare un mujaheddin, combattente contro l”Armata rossa che aveva occupato l”Afghanistan, Malalai è cresciuta in campi profughi, prima in Iran e poi in Pakistan. Finché il padre, nel 1998, non decise di tornare nel suo paese, a Herat. E con i taleban la vita non è stata meno umiliante. Anzi. Dopo la caduta del regime fondamentalista è tornata nella sua città di Farah convinta a lavorare con le donne per permettere loro di riscattarsi da un passato di totale repressione. Come direttrice dell”Organizzazione per la promozione della capacità delle donne afghane (Opawc) si è impegnata nel campo dell”istruzione, della sanità e del lavoro per le donne. Un impegno riconosciuto dalla sua gente che l”ha eletta deputata alla Loya jirga (il parlamento afghano) con il voto del settembre scorso. A 28 anni, sposata con uno studente di agronomia, è diventata la peggiore nemica dei signori della guerra che siedono nella Loya jirga. E per questo è stata minacciata più volte di morte ed è già sfuggita a quattro tentativi di assassinarla. Ora gira con la scorta e cambia ogni notte il letto dove dormire.L”ultimo attacco l”ha subito in parlamento il 7 maggio quando stava facendo una distinzione tra i mujaheddin che hanno combattuto per la democrazia e coloro che hanno commesso solo crimini e hanno distrutto Kabul. E” stata insultata («prostituta»), aggredita e picchiata così come i deputati che la proteggevano e un giornalista. Qualche parlamentare ha anche urlato di violentarla. Perché non ha peli sulla lingua: «In Afghanistan ci troviamo in mezzo a due fuochi, da una parte i criminali fondamentalisti dell”Alleanza del Nord pagati e protetti dagli Stati uniti e dall”altra i taleban e al Qaeda, terroristi-fondamentalisti appoggiati da diversi regimi, anch”essi fondamentalisti. Il parlamento è dominato dai narcotrafficanti. Nelle tasche dei signori della guerra sono finiti anche i 12 miliardi di dollari ricevuti per la ricostruzione del paese e i 10 miliardi di dollari stanziati dalla recente conferenza dei paesi donatori di Londra. Intanto il paese è come se fosse stato sconvolto dallo tsunami: ogni giorno muoiono 700 bambini sotto i cinque anni e 60/70 donne di parto, per mancanza di cibo, servizi e freddo. In Badakhshan (regione del nord del paese, ndr) c”è la più alta mortalità infantile e di donne del mondo. La disoccupazione raggiunge il 40 per cento. Per non parlare di giustizia: una ragazza di 14 anni è stata lapidata perché accusata di adulterio. La Corte suprema è nelle mani di uomini medioevali, appartenenti ai gruppi più fondamentalisti di Gulbuddin Hekmatyar e Abdul Rasul Sayyaf. E personale delle Ong e dell”Onu è stato rapito sotto gli occhi dei 6.000 soldati dell”Isaf». Malalai Joya è arrivata in Italia proveniente dalla Spagna dove ha partecipato a un seminario sulla presenza delle truppe in Afghanistan, è riuscita ad avere un invito nonostante la delegazione del governo afghano si opponesse alla sua partecipazione. Per sostenere che cosa? «Il popolo afghano ha bisogno di quella sicurezza che non potrà avere finché al potere ci saranno i signori della guerra. In Afghanistan non c”è legge. L”Isaf potrebbe avere un ruolo positivo se fosse indipendente dagli Usa e dalla politica americana, ma finora non lo è stata. E gli Stati uniti hanno sempre appoggiato i fondamentalisti: prima i taleban e poi l”Alleanza del nord. Il nostro problema è simile a quello dell”Iraq ma quando si parla di Afghanistan si vuol far credere che lì c”è la democrazia!».’
La "quota rosa" che rischia la vita
Intervista alla deputata Malalai Joya
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30 Maggio 2006 - 11.52
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