Il pennello del Profeta | Giuliana Sgrena
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Il pennello del Profeta

Nadir è islamista convinto e sta con Muqtada al Sadr, come i suoi fratelli che si oppongono agli invasori a stelle strisce. E'' un pittore famoso e per vivere fa i ritratti delle famiglie dei marine'

Il pennello del Profeta
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9 Luglio 2004 - 11.52


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Un imponente dipinto che ci ricorda il Quarto stato di Pelizza da Volpedo campeggia nel cuore di Sadr city, l”enorme agglomerato sciita di Baghdad. Rappresenta la ribellione sciita repressa nel sangue, immagine sovrastata dai ritratti dei due grandi ayatollah della famiglia al Sadr, i «martiri della fede», e sullo sfondo la moschea di Najaf, dove è sepolto l”imam Ali, capostipite degli sciiti. In secondo piano, Mohammed Baqer, considerato il «Khomeiny d”Iraq», condannato a morte e giustiziato nel 1980, e, in primo piano, Mohammed Sadeq, assassinato nel 1999 insieme a due dei suoi figli. Il ricordo di Mohammed Sadeq al Sadr è ancora molto vivo tra gli sciiti e in suo onore il quartiere, già Saddam city, è stato rinominato Sadr city, sebbene la corrente rivale sciita guidata dall”ayatollah al Hakim abbia preferito ritornare al nome originale, al Thawra (la rivoluzione) che risale agli anni Cinquanta, quando fu costruito per accogliere centinaia di migliaia di immigrati dal sud. L”eredità di Mohammed Sadeq al Sadr è stata raccolta dal figlio Muqtada, trentenne radicale e facinoroso che deve la sua popolarità ai meriti del padre. Ma la maggior parte degli abitanti della bidonville gli sono fedeli e seguono le sue indicazioni, compresi i voltafaccia che alternano discorsi truculenti a dichiarazioni «pacifiste». In aprile, quando gli americani hanno aperto uno scontro frontale con il leader radicale sciita, hanno anche ripulito il quartiere dei suoi ritratti, ma non hanno osato toccare il grande dipinto. Sopra la moscheaTra i sostenitori di Muqtada vi è Sayed (discendente del profeta) Nadir al Mussawi, l”autore della pittura che lo ha reso famoso in tutto il quartiere. Nadir, 34 anni, dal carattere mite e riservato, islamista convinto, vive con gli altri tre fratelli sposati in una casa a tre piani, quattro stanze per piano, dal tetto a terrazzo ci si affaccia sulla vicina moschea, al Mohsen, da dove ogni venerdì si può tastare il polso della tensione sciita. Tanto che la moschea è diventata troppo piccola per accogliere tutti i fedeli e in questi giorni fervono i lavori per un suo ampliamento. Ma questa è l”unica costruzione in corso a Sadr city, anche se molte case fatiscenti, che sembrano pollai, meriterebbero una ristrutturazione. Sempre dal terrazzo, Nadir ci mostra orgoglioso una visione dall”alto della sua opera che appare sulla piazza, alle spalle del quartier generale di Muqtada. Alle nostre spalle invece, la casa dei Mussawi, dove vivono i genitori di Nadir con i quattro figli – due maschi e due femmine – non ancora sposati. L”ultimo, Mounir, nel 1994 si è trasferito a Najaf, la più santa tra le città sciite, con la sua numerosa famiglia (nove figli), per diventare «taleb», studente di una madrasa della al Hawza (il consiglio dei marja, una sorta di Vaticano sciita), un impegno che può durare anche tutta la vita. A parte un sostegno degli ayatollah che gli passano un mensile, a mantenere la famiglia di Mounir sono i fratelli, usanza diffusa nel mondo islamico e, in più, per i Mussawi Mounir è l”orgoglio della famiglia. Purtroppo non siamo riusciti a incontrare il taleb perché la strada per Najaf è pericolosa, bisogna passare obbligatoriamente per la sempre intasata arteria che attraversa Mahmudia, terra di ostaggi. E non basta più nemmeno dichararsi francese o camuffarsi da donna sciita – tutte avvolte dalla baya nera – per superare la strettoia sull”Eufrate.Nella casa di Nadir, i bambini spuntano da tutte le parti, sono i figli suoi (tre) e dei fratelli che vivono con lui: Bashir, Najib, Rafed. Ma l”unica donna che compare è Fawzia, vivace, con un vezzoso foulard che le raccioglie i lunghi capelli ravvivati dall”henné. E” la moglie di Bashir, il primogenito dei Mussawi, ex insegnante e membro del disciolto partito Baath. Sua sorella, racconta Fawzia, senza nascondere una punta di orgoglio e forse d”invidia, era una delle cantanti del regime, è fuggita per evitare la malasorte toccata ad altre che come lei cantavano le odi a Saddam. Bashir non rimpiange certo Saddam ma il lavoro da insegnate sì e anche la sicurezza garantita dal passato regime. E quando Nadir lo rimbrotta sostenendo che ora però c”è la libertà, lui non ha dubbi: «Che me ne faccio della libertà se non so come sfamare i miei figli?»I fratelli arrivano, ci salutano, dicono la loro e se ne vanno. Najib si aggira inquieto, lui è uno dei creativi della famiglia, già direttore di teatro, ora si dedica ai video e ai documentari. Sadr city, come le città sante, è piena di negozietti che vendono cd, ma si tratta soprattutto di discorsi degli ayatollah, e quelli che vanno per la maggiore sono proprio quelli degli al Sadr.La creatività di Najib va al di là degli steccati religiosi, pur essendo anche lui un sostenitore di Muqtada, del resto gli islamisti non disdegnano le nuove tecnologie e sono molto attenti agli effetti mediatici. Rafed era invece una guardia repubblicana di Saddam, si presenta in djellaba (il camicione bianco) e sembra il più tormentato dei fratelli, è il più ostile agli americani, anche se la motivazione è singolare: «I loro metodi non sono diversi da quelli di Saddam, stessi i sistemi di tortura», ma non si riferisce alle foto di Abu Ghraib. Anche lui ora è un seguace di Muqtada, ed è lui che mi procura una baya che mi permette di avvicinarmi alla mochea, di venerdì, durante la preghiera, mentre Bashir non si sogna nemmeno di mischiarsi con quella turma di fedeli che, durante la preghiera, si accalca fin sulla porta di casa.Se Najib e Nadir fanno gli intellettuali, altri due dei suoi fratelli sono entrati a far parte del Jaish al Mahdi, l”esercito di al Mahdi, le milizie armate create da Muqtada lo scorso anno che gli americani vogliono sciogliere. Non possiamo rivelare i nomi perché la loro attività è clandestina, anche se poco prima un portavoce di Muqtada voleva convincerci che non ci sono formalità per entrare nel Jaish al Mahdi perché è un esercito di popolo. Poi aveva ammesso che per iscriversi occorrono le credenziali di un mullah.I due fratelli di Nadir hanno contribuito alla rivolta armata di aprile, ora la situazione appare più calma nella tormentata bidonville di Baghdad – 2 dei 5 milioni di abitanti -, i miliziani sembrano aver deposto le armi, ma questo non vuol dire che siano disposti a disarmarsi. Qui la brace cova sempre sotto la cenere e i miliziani sono sempre pronti a rispondere ai rigurgiti di ribellione del loro capo. Ora collaborano con la polizia locale per mantenere il controllo del quartiere, anche questo è un modo per affermare il potere territoriale.«A ognuno il proprio ruolo per sostenere Muqtada» e Nadir preferisce la politica e l”ideologia allo scontro militare. Racconta che la sua scelta a favore degli al Sadr era maturata prima dell”apparizione di Muqtada, ai tempi di Mohammed Sadeq, il padre, alla cui scuola si è formato, negli anni Novanta, così come il fratello Mounir. Con Nadir entriamo nel merito delle scelte teoriche che dividono le correnti sciite irachene. Da dover deriva la forza degli al Sadr? Innanzitutto, premette il pittore, Muqtada rappresenta 5 milioni di sciiti e per questo gli americani lo temono e lo affrontano. Poi, spiega, gli al Sadr sono iracheni, a differenza di altri leader religiosi sciiti, come al Sistani che è di orgine iraniana, e hanno vissuto in Iraq, mentre gli al Hakim (i rivali del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq) erano in esilio a Tehran. Ma la vera spinta per il movimento di Muqtada, deriva dalla scelta a favore del velayat-e faqih (la supremazia del religioso, ovvero il potere ai mullah), la teoria che aveva guidato la rivoluzione islamica in Iran e che Khomeini aveva elaborato proprio a Najaf. La teoria sposata dagli al Sadr e avversata dai cosiddetti «quietisti» come al Sistani (secondo i quali la religione deve contaminare la politica, ma non devono essere i mullah a governare), secondo Nadir, «risponde alla necessità del popolo sciita di avere un leader, che non può essere che religioso per costruire la repubblica islamica». Ma quando contestiamo che adottando il modello khomeinista anche loro finiscono nelle braccia di Tehran (Muqtada è appoggiato dalle guardie della rivoluzione di Khamenei, anche se non lo si ammette), Nadir contesta: «Il velayat-e faqih risale fino alle origini dello sciismo, ai tempi di Ali, molti prima di Khomeini l”hanno teorizzato e comunque la nostra repubblica islamica sarebbe diversa da quella iraniana, perché l”Iraq è diverso dall”Iran, per esempio noi abbiamo molti partiti che non potrebbero essere sciolti».La galleria degli artistiPer ora, se la linea di Muqtada non subirà nuovi improvvisi cambiamenti, si preparano a formare un partito per partecipare alle elezioni previste per il gennaio 2005. La via elettorale alla repubblica islamica. «L”importante è che il governo prepari davvero libere elezioni, solo un governo eletto sarà legittimato».Nadir vive a Sadr city, ma il suo studio è in una galleria di artisti che si affaccia su una viuzza laterale alla centralissima Karrada, nel cuore della Baghdad commerciale. A dar da vivere a Nadir e altri artisti come lui sono i ritratti, di arabi e straneri. Soprattutto stranieri, che possono tornare a casa con il ritratto di una famigliola felice, oltreoceano, per una manciata di dollari. Basta portare una foto e Nadir fa il miracolo, aggiunge una faccia dove manca, fa sorridere anche chi non ne ha motivo, fa abbracciare un figlio anche a chi non l”ha ancora visto. Sul suo tavolo foto di spose felici, di bambini che giocano a baseball, di famiglie in attesa del ritorno di un marine, a volte nero. Nadir non si scompone, sono 60 dollari a testa, e lui in un mese ne dipinge diverse, così mantiene la famiglia. Tanto la sua lotta contro le truppe straniere la fa a Sadr city, con Muqtada al Sadr. E chi osa dubitare della sua fedeltà? Il suo «Quarto stato» sta lì, sotto gli occhi di tutti, a testimoniarlo.’

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