Iraq, i mercenari del petrolio | Giuliana Sgrena
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Iraq, i mercenari del petrolio

A Kirkuk, dove le spie americane passano al servizio delle società petrolifere

Iraq, i mercenari del petrolio
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17 Luglio 2003 - 11.52


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Il pretesto è quello di cercare la casa dello sheikh Mohammed leader della famosa confraternita derviscia di al-Kasnazaniya. Letteralmente «kasnazaniya» vuol dire «non lo so», ed è la risposta dai praticanti della setta al fatto che non sanno perché non succede niente quando si infilzano con spilloni o spade o quando camminano su carboni ardenti. Oltre che per queste pratiche che, oltre agli adepti, attirano anche molti curiosi, sheikh Mohammed è famoso anche per essere stato la guida spirituale di uno dei vice di Saddam, Ibrahim Ezat. «Lo ha molto aiutato a sopportare la sua grave malattia», dicono i seguaci dello sceicco. Solo pietà o adesione al regime? Avevamo notato suoi seguaci, che si infilzavano, anche nelle manifestazioni di regime prima della guerra. Comunque il pretesto funziona, ma invece di trovarci in un luogo mistico ci troviamo in mezzo a uomini armati di pistola e Thuraya (il noto telefono satellitare) attenti a seguire le notizie attraverso le tv via satellite. Sulla porta, i guardiani sono dotati di fucili. Nella piccola piazzetta di fronte alla casa numerose auto portano la scritta Cinu che, ci spiegano, vuol dire: Coalizione dell”unità nazionale irachena. Sheikh Mohammed, che ha i suoi appartamenti sul retro della palazzina, non c”è, e nemmeno il figlio, vero obiettivo della nostra visita. Il dottor Nehru – così come il fratello Ghandi, i fedeli sostengono che gli insoliti nomi dati ai figli siano una espressione del cosmopolitismo dello sceicco – non ha nulla a che vedere con l”ispirazione religiosa del padre, la sua attività è molto più terrena, ma del padre ha sfruttato la popolarità e la copertura.Ci troviamo a Kirkuk, dove viene prodotto un terzo del petrolio iracheno. Non a caso, qui ha la sua base principale il braccio armato della Coalizione dell”unità nazionale irachena, quello che era nato nel 2001 a Suleimanya, in Kurdistan, come Esercito per la liberazione dell”Iraq, sponsorizzato e finanziato dagli americani. Non solo di armi sono stati dotati fin dall”inizio i miliziani dell”Esercito di Nehru, ma anche di Thuraya che non a caso erano vietatissimi dal regime di Saddam. Solo ora riusciamo a capire il perché dell”anacronistico provvedimento delle autorità di Baghdad, nonostante fosse noto che il telefono satellitare di produzione araba è dotato di un sistema di posizionamento particolarmente utile o pericoloso in tempo di guerra. Durante la guerra si era avuta notizia di quattro iracheni, di cui tre kurdi, giustiziati dall”esercito di Saddam perché possedevano un Thuraya. In effetti i quattro – ma secondo i militanti del gruppo i loro «martiri della libertà» sono in tutto 27 – facevano parte dell”Esercito filo-americano ovvero erano spie degli Stati uniti. E lo sono ancora, anche se ora non è più tanto pericoloso, ma forse potrebbe tornare ad esserlo: le esecuzioni dei collaborazionisti da parte dei gruppi della resistenza sono già iniziate. Tra i «mercenari» ci sono ex militari iracheni, come Rayad J. al-Ubuday, già ufficiale dell”esercito di Saddam che ha poi disertato e mi mostra – proprio nella sede di Kirkuk – la sua tessera di riconoscimento dell”esercito. Mi spiega che è a Kirkuk solo per una riunione, perché lui dirige il gruppo di Diwan, vicino a Baghdad. L”Esercito non si è sciolto con quella che gli americani hanno spacciato come «liberazione» dell”Iraq, ma continua ad essere un braccio armato clandestino al servizio degli americani, che opera all”ombra della Coalizione dell”unità nazionale irachena. Evidentemente più fidabile e più discreto – per gli Usa – di quel gruppo di sbandati che costituivano i Freedom fighters iracheni (Ffi), addestrati in Ungheria e arrivati al seguito dell”oppositore sponsorizzato dagli americani Chalabi, con la stessa divisa mimetica dei marine, ma che poi sono stati disarmati.Il comando statunitense deve aver fiducia negli uomini di Nehru se ha affidato loro la protezione delle compagnie petrolifere, per ora ancora irachene ma in odore di privatizzazione. I «mercenari» lavoreranno probabilmente – ma su questo non si sbilanciano – al servizio dell”Us army corps of engineers (Usace), corpo al quale il Dipartimento della difesa americano ha affidato il compito di riparare e assistere il funzionamento delle infrastrutture petrolifere, avvalendosi del supporto di compagnie come la Kellogg, Brown Root, una sussidiaria della Halliburton, già diretta dal vicepresidente Dick Cheney. Tuttavia la ripresa del pompaggio del petrolio è di molto inferiore agli obiettivi stabiliti dagli americani. Le compagnie americane non sono riuscite a completare la riabilitazione degli impianti e i lavoratori impegnati nel settore devono essere accompagnati da scorte armate, sostiene Gary Loew, direttore della pianificazione per l”Usace. Per non parlare dei sabotaggi che continuano a colpire gli oleodotti. E del contrabbando che spedisce ogni giorno nei paesi vicini 3 milioni di litri di gasolio e 2 milioni di litri di benzina. Una situazione che mette in dubbio l”efficacia sia del corpo dei marine che dei loro mercenari – che, si dice, siano circa 3.000 – tuttavia si vantano del loro ruolo in un settore decisivo e della fiducia loro affidata dagli americani.Se il dottor Nehru dirige tutta l”organizzazione delle spie diventati mercenari, la sezione di Baghdad è affidata al fratello Ghandi. Lo cerchiamo presso la grande residenza di sheikh Mohammed alla periferia della capitale, dove nella moschea annessa, Takia al-Kasnazaniya, si svolgono anche tutti i riti della confraternita derviscia due volte alla settimana. Ghandi è introvabile. Meglio rivolgersi al partito. La sede della Coalizione per l”unità nazionale irachena si trova nel quartiere delle ambasciate a al-Khadimiya, davanti al palazzo a due piani è tutto uno sventolio di bandiere e striscioni neri che inneggiano ai «martiri della libertà», i 27 giustiziati durante la guerra. Mentre aspettiamo di parlare con il dottor Jabber dell”ufficio politico, incontriamo anche la vedova di una delle spie uccise, avvolta di un impenetrabile velo nero e trincerata in un rigido silenzio. La sede è grande, una parte ancora in ristrutturazione, l”aria condizionata a tutto volume fortunatamente ogni tanto viene spenta dalle interruzioni di corrente. Un via vai di notabili – non si riesce a capire cosa vogliano e cosa facciano – che si distinguono dai funzionari, tutti dotati di Thuraya, per l”abbigliamento tradizionale. Restano un mistero anche gli obiettivi della coalizione fondata nel 1993 in Kurdistan: il dottor Jaber si arrampica sugli specchi ma non trova una risposta plausibile che vada al di là della mera copertura di un”altra attività, l”unica sua ossessione sembra quella di dimostrare la laicità del partito che si pone al di sopra di etnie, religioni e tribù. E, per avvalorare la tesi della laicità, si sforza di chiamare tutti dottori e non sceicchi, come sono più conosciuti. Si lascia persino andare – come tutti del resto ora in Iraq – a critiche contro gli americani che non hanno mantenuto le promesse fatte agli iracheni.La Cinu – afferma Jabber – vorrebbe una soluzione all”afghana. Chi potrebbe essere il Karzai iracheno, chiedo. Chalabi? azzardo. «No, Chalabi è un politico, deve essere un governo di tecnocrati», sostiene. Evidentemente non conosce l”Afghanistan e non vuole conoscerlo. Forse perché ha una grande fiducia in Zalmai Khalilzad, già inviato di Bush in Afghanistan e poi in Iraq. Se sul piano politico Jabber rivendica il coinvolgimento degli iracheni nel governo del paese, su quello economico si affida decisamente agli americani che meritano, dice, un trattamento privilegiato, anche rispetto alle privatizzazioni, «perché hanno contributo alla liberazione dell”Iraq». E, soprattutto, contribuiscono al finanziamento della Coalizione. Il responsabile dell”ufficio politico ammette che l”attività del gruppo armato rappresenta la principale fonte di finanziamento, tanto che il partito pensa di estendere le prestazioni ad altri settori. Sempre che gli americani continuino a nutrire fiducia nel gruppo visto che il settore petrolifero non sta certo garantendo agli Stati uniti quegli introiti che si aspettavano. Ma i «mercenari» possono sempre scaricare la colpa sull”Us army corps of engineers che ha la responsabilità del settore petrolifero, appalti compresi.’

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