Reportage dal cielo vietato | Giuliana Sgrena
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Reportage dal cielo vietato

In volo sulla no fly zone, pericoloso regno dei caccia americani e britannici, per arrivare fino a Bassora. Nella città di Sindbad il marinaio le ferite delle guerre sono ancora aperte, la popolazione strangolata dall''embargo vive di razioni, il sis

Reportage dal cielo vietato
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20 Febbraio 2003 - 11.52


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Ivoli di aerei iracheni nelle no fly zone sono proibiti da un embargo imposto arbitrariamente da Stati uniti e Gran bretagna, senza nessuna ratifica da parte delle Nazioni unite. Ma da oltre due anni l”Iraqi airlines ha ripreso i collegamenti tra Baghdad e Bassora, a sud del 33.mo parallelo, e Mosul, a nord del 36.mo. Nonostante l”embargo, i voli sono stati finora tollerati. Per Bassora sono due al giorno, sempre strapieni, quasi esclusivamente di iracheni. La partenza in perfetto orario, evidentemente anche per evitare rischi. Ma, soprattutto per gli stranieri, infrangere la zona di non volo, che inizia poco a sud di Baghdad, comporta sempre un po” di patema, specialmente in momenti come questi, mentre jet anglo-americani colpiscono quasi quotidianamente obiettivi cosiddetti militari ma che spesso risultano civili, come è successo anche ieri e martedì . Avvicinandoci a Bassora il deserto è popolato da fuochi che annunciano i giacimenti di petrolio che fanno dell”Iraq un paese particolarmente ambito. I segni delle guerre – prima quella contro l”Iran, dal 1980 al 1988, e poi quella del Golfo nel 1991 – che hanno sconvolto il paese, e soprattutto Bassora, sono ancora evidenti: carri armati e blindati da trasporto truppe distrutti sono sparsi ai lati della pista dell”aeroporto e altri ne troveremo anche alla periferia della città. Alcuni canali sono attraversati da ponti precari che affiancano quelli in pesante cemento armato, distrutti.Della città evocata come la «Venezia d”oriente», resa mitica dalle avventure di Sindbad il Marinaio, che secondo le «Mille e una notte» proprio da qui partiva per le sue avventure, resta ben poco, così come le sue pittoresche case arabe con balconate di legno, che affiancano i canali che solcano numerosi la città, sono sempre più decadenti. Larghi viali attraversano la città sfiorando, a turno, quartieri dignitosi e altri fatiscenti disseminati di cumuli di immondizie. Nemmeno le pesanti devastazioni prodotte dalle guerre sono riuscite tuttavia a cancellare il fascino della città che si affaccia sullo Shatt el-Arab. Fondata nel 636 d.C., proprio nell”anno della vittoria del Califfo sui persiani, continua a sfidare il vicino Iran con un centinaio di statue rappresentanti i comandanti militari delle varie armi che hanno combattuto la guerra contro il vicino rivale e che puntano il loro indice contro la riva iraniana, che si trova a pochi chilometri.La fame si combatte con i datteriLa più grande città del sud, con 1.600.000 abitanti, il più grande porto – in corso di riabilitazione con la rimozione di due navi da guerra bombardate – e centro commerciale, sconta gli effetti della guerra e dell”embargo. Il più grande palmeto del mondo (30.000 palme da dattero), che si estende lungo il fiume e che ha fatto dell”Iraq il primo produttore mondiale di datteri, è stato gravemente danneggiato dai bombardamenti: migliaia di palme sono state distrutte, altre appaiono asfittiche e senza foglie. E i datteri sono un elemento sostanziale per l”alimentazione, soprattutto in condizioni di embargo, perché contengono sali e zuccheri.Anche qui la maggior parte della popolazione vive delle razioni distribuite dal governo e lo si vede dagli effetti provocati sulle condizioni fisiche: la scarsità di proteine riducono le difese immunitarie e, sebbene le calorie per razione siano state aumentate (a 2.200 al giorno), la malnutrizione è ancora diffusa. Non si mangia carne e nemmeno pesce, venduto troppo caro. Soprattutto dopo il prosciugamento degli acquitrini che popolavano lo Shatt el-Arab, che ha provocato anche altri drammi. Le capanne in mezzo alla zona melmosa costituivano un rifugio ideale per l”opposizione sciita che nel marzo-aprile 1991, dopo la guerra del Golfo, aveva ingaggiato uno scontro armato con l”esercito di Saddam, brutalmente represso, così come era avvenuto per i kurdi nel nord. Le paludi sono state bonificate e gli abitanti delle capanne sopravvissuti forzatamente trasferiti in villaggi appositamente costruiti. Sicuramente la bonifica riduce problemi come quello della malaria – che tuttavia non è stata eliminata, ed è difficile da eliminare con questo clima umido, e si accoppia alla filaria -, ma allo stesso tempo permette al regime di mantenere sotto stretto controllo questi sciiti sospettati di appoggiare l”opposizione. Un controllo mal digerito tanto che gli sciiti, la stragrande maggioranza degli abitanti di Bassora, ad esempio vanno a pregare alla moschea solo di venerdì, gli altri giorni hanno rinunciato per evitare di esporsi troppo. Se il regime a Baghdad preme per una islamizzazione sotto controllo, qui la penetrazione wahabita (la scuola che ha la propria radice in Arabia saudita) è sempre più evidente. Si cominciano a vedere in giro per la città donne coperte da un velo nero integrale, con guanti e calze nere, secondo l”ordinanza saudita.L”islamizzazione wahabitaNe incontriamo una anche al centro Sindbad, un dispensario per la cura delle malattie gastrointestinali dei bambini. Il centro, che occupa una palazzina di due piani sulle rive dello Shatt el-Arab, è nato nel 1996 da un progetto del «Ponte per Baghdad» in collaborazione con la «Mezzaluna rossa» irachena. L”obiettivo è quello di contribuire, con la cura di una delle malattie più diffuse tra i bambini, alla riduzione della mortalità infantile. E fra poco dovrebbe partire, in collaborazione con l”Ics, anche un programma di alimentazione per i bambini malnutriti: sono il 30 per cento sotto i cinque anni e nel 15 per cento dei casi le infezioni intestinali e la malnutrizione si sommano. Sono circa 10.000 le visite effettuate ogni anno nel dispensario. Le mamme arrivano qui con i bimbi nascosti in piccoli fagotti, anche da lontano, per questo l”organizzazione del centro prevede che la visita, le analisi in laboratorio e la somministrazione di medicinali possano essere fatti nello stesso giorno. In questo modo – ci spiegano – possono essere ridotte le spese di trasporto che costituiscono un aggravio non indifferente per famiglie molto povere.Questi bambini, pur malati, sono comunque più fortunati di quelli che nascono deformi. Sebbene non ci siano statistiche disponibili, negli ultimi anni le nascite di bambini deformi sono in netto aumento e si tratta di casi agghiaccianti. Sono evidentemente l”effetto delle bombe all”uranio impoverito o di altre sperimentate proprio durante la guerra del Golfo, che hanno provocato anche la crescita delle leucemie e di altri tumori.Il progetto Sindbad prevede anche l”educazione sanitaria delle madri all”uso corretto dell”acqua. Il problema dell”acqua è uno dei più gravi, molti centri di potabilizzazione sono stati danneggiati dalle guerre e l”acqua non potabile, soprattutto in zone dove le falde acquifere sono state infestate dalle bombe, è una delle maggiori cause di malattie. Oltre al progetto Sindbad, il «Ponte per Baghdad», dal 1998, finanzia anche un progetto per la riabilitazione di un impianto di potabilizzazione che fornisce acqua a circa 120.000 abitanti di un quartiere di Bassora.La distruzione del sistema idrico è tra le previsioni delle drammatiche conseguenze di una possibile guerra. A Bassora lo spettro di una nuova guerra rappresenta un incubo, forse più che altrove. «Per ora la vita continua normale – ci spiegano alcuni studenti della facoltà di storia, che incontriamo al suq con i libri sotto braccio -, speriamo che la guerra possa essere evitata. Noi vogliamo la pace». Avete paura della guerra? «Sì, come potremmo non averne, sappiamo cos”è la guerra». Per evitarla sareste disposti anche ad accettare la presenza degli americani? «No, gli americani non li vogliamo, se siamo in queste condizioni è colpa dell”embargo imposto dagli americani». E allora combatterete? Per negare si limitano a scuotere la testa e a guardarci con un triste sorriso, disarmante. Non senza chiamare in causa il nostro governo che si è schierato con Bush.Durante il volo di ritorno, guardando l”immensa distesa di deserto che separa Bassora da altre città risulta difficile immaginare come gli iracheni potrebbero impedire una avanzata delle truppe americane superarmate provenienti dal vicino Kuwait.’

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