Full metal jacket a Kandahar | Giuliana Sgrena
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Full metal jacket a Kandahar

Dall''ex residenza del mullah Omar alla base militare Usa dell''aeroporto di Kandahar, la più grande della regione con quasi 10mila uomini. Blindatissimi, i soldati statunitensi non lasciano mai il fucile. Da qui sono partiti molti prigionieri per Gu

Full metal jacket a Kandahar
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11 Ottobre 2002 - 11.52


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Una delle residenze del mullah Omar si trovava alla periferia di Kandahar, ai piedi della montagna a forma di elefante, all”interno di un ampio parco popolato da pini, visione insolita per una città immersa nella polvere e divorata dalla siccità. Una sorta di cittadella circondata da alte mura, con al centro un monumento terrificante – rappresentazione di una maledizione di dio o solo presagio di sventure? -, accanto una moschea tutta azzurra e dorata con grossi fiori dipinti sulle colonne, dall”altro lato, allineate, diverse costruzioni semidistrutte dai bombardamenti americani. Riusciamo ad intravedere l”ex residenza dell”ideologo dei taleban, ora trasformata in base bunkerizzata delle forze speciali americane, grazie ad un espediente: una lettera (una sorta di lasciapassare) ottenuta da un generale afghano ha colto di sorpresa i militari locali di guardia che dopo essersela passata di mano in mano ci hanno permesso di superare i primi due check point e di arrivare alla soglia della base.Rimbombano i colpi di arma da fuocoAllarmati, due agenti speciali che apparivano sullo sfondo a protezione delle mura devono aver chiamato rinforzi: due ranger ci hanno raggiunto, il loro interprete afghano ha assalito con male parole e minacce le guardie che ci avevano permesso di entrare, poi siamo stati scortati fuori come pericolosi terroristi. Mentre nella zona rimbombavano colpi di arma da fuoco provenienti dalla base, dove evidentemente i ranger si stavano esercitando. Da qui partono tutte le missioni speciali segrete in Afghanistan alla caccia di mullah Omar e di Osama bin Laden e seguaci. Finora senza grande successo nonostante l”enorme dispiegamento di mezzi. I ranger hanno tutti la barba e si vestono come gli afghani per mimetizzarsi, anche se ultimamente hanno ridotto i loro travestimenti dopo che hanno rischiato di ammazzarsi tra di loro.Da quando sono arrivati gli americani nessun estraneo, tanto meno giornalista, ha più potuto avvicinarsi alla «cittadella» – la costruzione di una città dentro la città sembrava essere l”intenzione di mullah Omar -, del resto nemmeno gli altri soldati americani hanno contatti con le forze speciali neanche con gli agenti alloggiati nella base che si trova dentro l”aeroporto di Kandahar, come ci spiega Kevin Buckley, il marine che ci accompagna a visitarla. Si tratta della base americana più grande nella regione. Non si hanno cifre esatte sulla presenza militare Usa in Afghanistan, ma si parla di 8-10.000 uomini, meno di 200 le donne.L”aeroporto si trova dalla parte opposta della città rispetto alla ex-casa di mullah Omar, a una quarantina di chilometri dal centro, lungo la strada che porta verso il confine pakistano. La strada è perfettamente asfaltata in contrasto con tutte le altre strade afghane, anche questo segno indiscutibile dello strapotere americano. Del resto la prepotenza della presenza Usa con i suoi pattugliamenti superarmati era stato il primo impatto al nostro arrivo a Kandahar. Ma sono limitati alla periferia, in città non abbiamo visto nessun controllo, nessun posto di blocco.Ecco i minacciosi elicotteri ApacheMentre ci avviciniamo all”aeroporto si scorgono i minacciosi Apache che volteggiano nel cielo: sono in servizio 24 ore su 24, ci dicono, anche loro alla caccia di al Qaeda e dei taleban, ma spesso invece colpiscono i civili. All”esterno della base guardie e bandiere afghane, quella americana è dissimulata, solo dopo un paio di chilometri si passa il controllo Usa, attraverso un percorso tortuoso imposto da cavalli di frisia, grovigli di filo spinato e sacchetti di sabbia. La base è stata più volte bersaglio di attacchi, anche se solo un paio hanno ingaggiato le forze Usa per qualche ora. Quello che era l”ex aeroporto internazionale di Kandahar – l”edificio principale è quasi intatto, erano crollati solo i vetri, così come la torre di controllo e la piscina al centro della costruzione, che serviva per alleviare le attese dei passeggeri, e la moschea – dopo essere stato sminato è stato completamente occupato dalla base americana, unica concessione: la partenza da una pista degli aerei delle Nazioni unite, nessun volo commerciale è invece consentito, il che contribuisce all”isolamento della seconda città dell”Afghanistan.Da qui sono partiti i prigionieri talebanDa questa stessa pista sono partiti anche gli aerei carichi di prigionieri – sospettati di essere taleban o militanti di al Qaeda – diretti alla base Usa di Guantanamo a Cuba. E proprio durante una di queste operazione la base aveva subito uno dei più pesanti attacchi, le truppe Usa erano state ingaggiate in scontri durati almeno due ore. Nella base vi sono ancora prigionieri, ma quella è una delle zone off limits che non ci vengono mostrate.Il nostro accompagnatore sostiene comunque che qui i prigionieri vengono trattenuti per poco tempo, poi vengono smistati, a Bagram (la sede del comando Usa a 50 chilometri da Kabul) o altrove. Guantanamo per l”appunto. L”altra zona inaccessibile è quella che ospita le forze speciali dove vediamo dirigersi una colonna di ranger superarmati che hanno sui loro blindati anche le sagome del tiro al bersaglio. All”interno della base tutti i militari – statunitensi tranne un piccolo drappello di rumeni che hanno sostituito i canadesi – girano armati, non possono abbandonare mai il fucile, nemmeno quando fanno jogging o vanno a dormire. Non escono mai, non hanno mai contatti con la popolazione locale, gli unici afghani ad avere il permesso di entrare nella base sono alcuni giardinieri che coltivano le aiuole di rose, costretti a lavorare scortati da uomini armati. La base è provvista di tutto: dal servizio postale, al telefono – gratuito, ma ogni telefonata non può superare i 20 minuti – alla palestra, alla sala giochi, dove si possono vedere film – quando arriviamo stanno proiettando «Intelligenza artificiale» – giocare a scacchi, sentire musica, guardare la tv. C”è un beauty shop e uno spaccio dove si trova di tutto, l”unica cosa proibita è l”alcool. Ma la vita sotto le tende con un clima che ha forti escursioni termiche – caldo torrido in estate e freddo polare in inverno -, nonostante gli impianti di condizionamento, non è certo esaltante. Tanto che i militari che incontriamo appaiono frustati.Superato l”enorme hangar che oltre agli Apache ospita anche numerosi elicotteri Chinook, sul viale «Enduring freedom Us army» (ogni viale ha un nome bellicoso altisonante) ci imbattiamo con Valentine, 22 anni, sposato da poco, con un bambino di nove mesi, viene dalla Luisiana, da quattro anni è nell”esercito e dovrebbe rimanerci ancora due.«Viale Enduring freedom»E” qui da tre mesi, lavora alla costruzione di nuove baracche di legno (segno di una permanenza ancora lunga), spera di tornare a casa in dicembre, per Natale, ma forse dovrà restare fino a febbraio. «Penso che qui sia importante la presenza straniera contro il terrorismo, quindi credo che dovremmo restare qui, ci vorrà ancora molto tempo per portare a termine il lavoro». Rispetto all”intervento in Iraq invece Valentine si mostra molto scettico, Kevin preferisce non rispondere ma non sembra certo entusiasta. E comunque Valentine dice di essere deciso, quando torna a casa, ad abbandonare l”esercito. Anche Kevin è dello stesso parere, pur avendo trovato qui, sostiene, una situazione meno pericolosa di quanto avesse immaginato dalle informazioni della stampa. E lo stipendio? Nemmeno quello è particolarmente esaltante: 2.900 dollari, compresi i 300 di indennità, al mese, per Valentine. Qualcosa in più per Kevin che ha 26 anni e due figli a carico. Lui è giornalista, oltre ad accompagnare visitatori in giro per la base, scrive e fotografa per la rivista militare. A conclusione della visita ci porta a vedere la targa in memoria delle vittime dell”11 settembre, di cui è stato celebrato l”anniversario. E il 7 ottobre, chiediamo, è stato celebrato? «L”anniversario dell”invasione dell”Afghanistan, si lascia scappare – quello no».I canadesi prima di andarsene da questa base hanno lasciato un monumento ai militari caduti nella missione di Enduring freedom. Anche gli americani hanno subito numerose perdite: ufficialmente ammettono oltre quattrocento vittime, di cui 110 morti. Tutti sostengono che sono molti di più, anche perché spesso arrivano notizie – non confermate, anche in questi giorni – di soldati colpiti, soprattutto nella zona di Khost dove gli scontri sono quasi quotidiani, ma le bare degli americani che tornano a casa non sono più mostrate come quelle di eroi come succedeva nelle scorse guerre, ora vengono nascoste.Cosa ne pensa Kevin dell”Afghanistan? «E” un paese pazzo». E” certamente un paese difficile da decifrare e lo è sicuramente di più per chi non ha potuto conoscerlo molto stando rinchiuso dentro una base, anche se grande, che ripropone lo stile di vita americano in terra afghana.’

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