Il velo e la spada dell''intolleranza' | Giuliana Sgrena
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Il velo e la spada dell''intolleranza'

In Europa di quello che sta succedendo in Algeria emerge solo la violenza dei gruppi armati e del regime

Il velo e la spada dell''intolleranza'
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30 Agosto 1996 - 11.52


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Per ora non si vede la possibilità dell”esistenza di un islam tollerante che possa garantire una convivenza pacifica e quindi un sistema veramente pluralista, ammesso che ci sia la volontà di avviare una reale democratizzazione…CLAVERIE: La realtà è molto diversa. In Algeria, come in gran parte del mondo musulmano, siamo di fronte ad una crisi di coscienza. E” un po” paradossale perché invece dall”esterno si ha l”impressione che in Algeria, come in altri paesi, ci sia un ricompattamento su una ideologia monolitica imposta da gruppi violenti e rappresentati dai partiti islamici. I musulmani praticanti in Algeria hanno finora seguito tutti un islam tradizionale, profondo, non sempre teologicamente elaborato, ma molto tollerante, aperto; accettando anche le diverse pratiche del mondo musulmano e legando l”islam alla loro identità: chi dice algerino dice musulmano, senza fare necessariamente l”esame del contenuto dell”essere musulmano. E” questo islam che, durante la colonizzazione, ha conservato un”identità; e durante la guerra ha mobilitato contro l”occupante francese. Ora questi algerini si sentono dire che non sono mai stati dei veri musulmani e che per esserlo occorre seguire altre pratiche.Non si tratta di una concezione tradizionale e teologica, ma di ideologie nate da un modello politicamente rozzo, formato all”estero – in Egitto, in Iran, in Afghanistan. E” questo islam che vogliono imporre agli algerini così come la soluzione islamica ai problemi economici e politici. Ognuno propone un islam diverso, l”algerino è scisso: chi mi dirà dov”è l”islam, qual è il vero islam? Seguivo un islam tradizionale forse non ortodosso, ma ora ci sono persone che vogliono imporre il loro non con la parola, ma con la violenza: sono perso. Paradossalmente solo oggi queste questioni si pongono alla coscienza musulmana. Proprio ora che si vuole imporre un islam monolitico sorgono tante diversità. Non so quale sarà l”avvenire, come la comunità musulmana algerina elaborerà una teologia che corrisponde alla sua evoluzione, ma sono sicuro che non si potrà imporre al popolo algerino un islam monolitico, soprattutto sotto forma di ideologia politica.L”imam è d”accordo?BENCHEIKH: Io mi inscrivo sulla stessa via. Bisogna fare una distinzione tra fede e teologia. Gli islamisti sono coerenti con se stessi allo stesso modo dei moderati. Perché? L”Algeria, come altri paesi musulmani, si è precipitata verso la modernizzazione senza nessun lavoro teologico previo. Questo ritorno all”islam ha molte ragioni: serve ad affermare l”identità, a ritrovare le proprie radici, a trovare alternative alle molteplici soluzioni importate. Ma oggi comincia ad essere chiaro che non si tratta di una risposta adeguata ma di una teologia fatta per il passato, per un tempo segnato dall”ostilità tra le chiese. Il mondo musulmano sembra in decadenza e invece comincia a svegliarsi, a rivendicare il suo spazio nel mondo ma non ha elaborato la sua teologia. Molti di noi ne avevano coscienza, ma non osavamo dire ai musulmani che occorre desacralizzare il proprio patrimonio. Oggi possiamo farlo: possiamo imitare i nostri antenati non nei risultati ma nel loro tentativo di trovare una coerenza nel vissuto. Dobbiamo rileggere i testi sacri, sapendo che la sola autorità nell”islam è il Corano, con una intelligenza nuova alla luce del nostro secolo. Quanto alla chiesa d”Algeria so che esiste una comunità cristiana ma non avevo rapporti. In Francia conosco il ruolo della minoranza, testimone della diversità, della ricchezza della nazione: la minoranza è là per ricordare che bisogna essere aperti, per mettere fine ai dogmi, per impedire la deriva del totalismo che vuole una società uniforme. E credo che i cristiani d”Algeria e i musulmani di Francia abbiano bisogno di lavorare insieme con convinzione e pragmatismo, perché sono coscienti della posta in gioco.Lei ha parlato di una nuova lettura del Corano con l”intelligenza di oggi: vi è spazio per la donna?BENCHEIKH: Sì, e a questo proposito vorrei fare riferimento al Codice della famiglia che suscita tanto dibattito in Algeria. Da dove viene? Molti musulmani sono imbarazzati da questo codice ma siccome è proclamato in nome di dio lo accettano. Ma da dove viene? Viene dal fiqh (diritto), non è la sharia. Quando i musulmani hanno costruito un grande impero si sono dovuti dare una legislazione per gestire il potere: fu allora che la sharia divenne Legge, come concetto, che deve essere però sostanziata dal fiqh, il diritto musulmano elaborato dalle scuole giuridiche. Ce n”erano una trentina, solo quattro sono sopravvissute, ma sono concezioni arcaiche, non aggiornate da secoli. Il Codice della famiglia algerino è basato sul fiqh malechita, influente nell”Africa dell”est, senza nessuna elaborazione, innovazione, riflessione.La donna ora in caso di divorzio deve abbandonare il tetto coniugale perché il fiqh si è formato quando la società era tribale: la donna lasciava il clan del marito per tornare a quello della sua famiglia. Oggi si vive in appartamenti, ma la moglie comunque deve andarsene. Nel passato le varie scuole si adattavano alle realtà, ai costumi, alle condizioni di vita. Così funzionava il fiqh prima di sacralizzarsi; prima che la sacralizzazione si estendesse tutte le scienze islamiche.Perché?Nel mondo musulamo c”è una coscienza diffusa, vecchia di secoli: la nostra intelligenza non produrrebbe più come nelle generazioni precedenti. Ecco quindi il taqlid, che significa seguire e imitare la tradizione. Altre scuole coraniche invece invitano i musulmani a non accontentarsi delle interpretazioni del passato ma a compiere uno sforzo per comprendere e applicare (ijtihad). Ci sono anche scuole più severe che rimproverano a ebrei e cristiani di seguire i loro rabbini e i loro preti e non direttamente la parola di dio come è stata rivelata. Oggi possiamo osare la desacralizzazione del fiqh. Non un”eresia, ma una riforma. Nel Corano la riforma (islah) significa tornare al testo non per interpretarlo letteralmente ma per avere una nuova comprensione nel quadro della civiltà che cambia. Islah (riformare) o tagdid (rinnovare) sono parole che vengono dal testo fondatore, e ci sono stati molti movimenti di islah.SADOU: La riforma è una necessità per questa fede e per il nostro paese, per la nostra stessa sopravvivenza.BENCHEIKH: Sicuramente, i moderati vogliono veramente vivere in pace, per loro l”islam è tollerante, è fraternità. Ma purtroppo nella teologia troviamo anche riferimenti alla guerra, perché il mondo musulmano era un mondo chiuso: una comunità, confessionalmente parlando, e un impero in espansione. Oggi non abbiamo diritto di parlare di casa della guerra e casa dell”islam, non abbiamo il diritto di creare nemici per applicare il testo. Oggi il mondo intero è la casa dell”islam. E l”islam deve evitare manipolazioni. Per questo penso che la separazione del politico dal religioso non indebolisce la forza morale dell”islam e nemmeno il suo progetto sociale. La religione non può essere un”autorità morale al di fuori della gestione del potere, della politica. La politica si fa con alleanze, compromessi, una forza morale deve trascendervi. Una laicità ben definita, ben adattata non può che essere un vantaggio per l”espansione dell”islam. Ed è anche un vantaggio per lo stato pluralista, che non può che basarsi sul pragmatismo e la razionalità.CLAVERIE: Effettivamente la religione non è solo la relazione individuale tra il credente e dio ma ha una dimensione collettiva e pratica: è qui che comincia il problema. Una relazione mistica di un individuo con il suo dio riguarda la sua coscienza, non pone problemi a nessuno; ma quando incontra altre concezioni, altre religioni, il credente cerca di imporre la sua legge perché la considera la migliore. E” vero che le chiese e il mondo cattolico ancora oggi sono tentati di imporre la propria concezione della legge, delle relazioni tra gli uomini. Persino all”interno della chiesa cattolica è difficile applicare il Conciglio vaticano II: ma è chiaro che nel vangelo e nella lettura della fede cristina la religione non può essere che una luce per illuminare la coscienza che è chiamata a riflettere con i mezzi umani di cui dispose. Come diceva Soheib: in ogni secolo gli strumenti per pensare la società sono diversi. La società evolve, con le relazioni sociali e umane, l”uomo s”affida alla sua ragione per elaborare una condotta umana, come alle tradizioni e alla religione. La religione non è una legge che si impone dall”esterno ma è qualcosa che dall”interno illumina lo sforzo di trovare la verità. Ora due fatti combattono il progetto sociale della chiesa: il programma della chiesa non è il programma di un partito politico, non dà che una visione sui valori da salvaguardare. E” un problema se un progetto religioso viene monopolizzato da uno stato cristiano, un impero cristiano o un partito cristiano. Penso che Soheib sarà d”accordo sul fatto che né uno stato, né un partito possano pretendersi esclusivamente islamici. Sono invece progetti proposti tra altri progetti. Quando si parla di dottrina sociale della chiesa ci si riferisce a dottrine elaborate soprattutto alla fine del secolo scorso o all”inizio di questo: encicliche, insegnamenti, teologie elaborate senza confluire in una dottrina unica. E non poteva che essere così: ci sono cristiani progressisti, altri conservatori…, ognuno attinge dalla dottrina sociale della chiesa i valori che gli permettono di restare credente….E una donna, laica e femminista come si trova tra un vescovo e un imam?SADOU: A mio agio. Mi piace sentir parlare un imam di un islam che sposa la mia epoca, è la rivendicazione principale della maggioranza del popolo algerino. E poi ascoltare padre Claverie, l”espressione della chiesa d”Algeria, è arricchire questa diversità. Questo manca in Algeria: le condizioni per una espressione pluralista. Purtroppo nelle proproste per la revisione della costituzione il trittico identitario è quello di islamità, arabità e berberità: si esclude tutto il resto. Ed è questo che noi, un gruppo di donne, abbiamo scritto al presidente Zeroual: è una visione ristretta e pericolosa, che esclude tutte le altre ricchezze dell”Algeria, i valori mediterranei, maghrebini, africani e gli altri culti. L”autorità morale dello stato dovrebbe promuovere e proteggere questa pluralità. Se un dibattito di questo tipo si facesse nella nostra realtà sicuramente la situazione delle donne sarebbe molto diversa, avremmo il nostro statuto. La lotta che conducono oggi le donne per uno status di cittadine egualitario si scontra direttamente con una concezione ristretta dell”islam. Quando si tratta di discutere di leggi, del Fmi, di rapporti con i mercati internazionali, di negoziazioni del debito, etc. l”Algeria si colloca sulla scena internazionale come un paese moderno, con tutti gli strumenti imposti dalla modernità. Quando si tratta di affrontare la questione della famiglia e delle donne, o di firmare convenzioni internazionali le donne rientrano sempre nelle “riserve” con il pretesto della sharia. Tuttavia abbiamo fatto dei piccoli passi, tra le donne comincia a crescere la coscienza che il loro avvenire è strettamente legato al futuro della nazione Algeria ma anche alla necessità della separazione del politico dal religioso. Basta con la manipolazione dell”islam, la religione deve mantenere il suo spazio di espressione e la politica deve avere il suo. In Algeria le donne hanno tutto da perdere o tutto da guadagnare; è per questo che abbiamo interesse a creare le condizioni perché la voce di Soehib e altri imam come lui – non sono molti – si esprimano pubblicamente. Non possiamo avanzare sulla questione della donna se si nasconde il dibattito sull”origine del Codice della famiglia. Io non sono una specialista di islam, sono una militante laica. Ma ci sono persone che possono aiutarci a condurre questa lotta, religiosi portatori di uno spirito che sposa la nostra epoca, che possono far avanzare la separazione del religioso dal politico. C”è poi un altra questione. Oggi, in Algeria, chiunque diventa portatore della parola di dio, sottolineo chiunque: basta che sappia dire due frasi in arabo corretto per dichiararsi profeta. Se vogliamo che in Algeria emerga una coscienza della modernità, repubblicana, democratica e moderna – che abbia un supporto sociale, e non sia imposto dall”alto, o importato, o un”imitazione della repubblica francese – dovrà essere profondamente intrecciata con i nostri valori, non quelli degli islamisti o del potere, ma quelli della nostra civiltà, della nostra cultura. Qui tutto è da fare. Come potremo varare leggi dove le donne abbiano il loro posto, senza una nuova strutturazione del pensiero sociale e politico e filosofico? Non sarà certo per decreto; se anche il presidente con un atto di grande coraggio decidesse di abrogare il codice della famiglia per noi sarebbe una vittoria, ma parziale: nella società resterà ancora molto da fare per modificare la coscienza sociale sulla donna, in piazza, nella famiglia, nella moschea.Vorrei chiedere a Claverie, cristiano che vive in Algeria, cosa pensa di fronte all”assassinio dei padri trappisti.CLAVERIE. La morte dei sette frati è stato certamente un dramma, vissuto da quasi tutta l”Algeria. Non mi sono mai sentito tanto algerino come dopo questo dramma; è triste, persino paradossale perché dopo l”uccisione di questi cristiani ci sono folli che la giustificano. Abbiamo preso ulteriore coscienza, anche se altri religiosi erano già stati uccisi prima, che quella che sta succedendo in Algeria riguarda decine di migliaia di famiglie algerine, è lo stesso sangue che cola. Non è una persecuzione contro i cristiani, estremamente minoritari; le nostre morti sono alcune tra le altre. Noi ci sentiamo algerini per il sangue versato. E sono stato colpito da quel che molti amici algerini ci hanno detto: non vi presentiamo condoglianze perché sono morti nostri fratelli. Altri ci dicono “Restate con noi”, non perchè rappresentiamo qualcosa di forte, perché abbiamo una influenza da salvaguardare o un potere da mantenere, ma soltanto perché – come dicevano Soheib e Zazi – si sente sempre di più che occorre lottate contro la chiusura della cappa del terrorismo, da qualunque parte venga. Se si deve resistere, è bene avere qualcun altro con sé, un altro che accetta di condividere la lotta e la gioia, come fu per l”indipendenza. Il sangue versato insieme in questo momento è un segno di speranza: ci saranno ancora morti, ci saranno difficoltà. Non per questo ogni contenzioso tra cristiani e musulmani sarà risolto. Ma il condividere questa sofferenza ci rende ancora più solidali.’

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