I patrioti di Boufarik | Giuliana Sgrena
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I patrioti di Boufarik

Dopo la Kabylia, anche nella roccaforte integralista si sono costituiti i comitati di autodifesa armati che hanno costretto i terroristi a fuggire sui monti

I patrioti di Boufarik
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21 Marzo 1996 - 11.52


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RABIA SELIMI è una donna sui quarant”anni, una contadina quasi analfabeta, vestito tradizionale, foulard compreso, suo marito è stato ucciso dai terroristi in dicembre e da allora lei ha preso il suo posto, e anche il suo fucile. Mohammed Selimi infatti era uno degli organizzatori dei gruppi di autodifesa popolare, i “patrioti” come preferiscono definirsi.L”esempio della Kabylia si sta estendendo ad altre zone del paese, anche in quello che è chiamato il “triangolo delle Bermude”, ad una quarantina di chilometri da Algeri, tra Blida, Larbaa e Boufarik. La roccaforte degli integralisti, dove i gruppi armati avevano imposto con il terrorismo la loro legge: vietato fumare, vietato ascoltare musica, vietato guidare alle donne, che naturalmente non potevano uscire senza velo.”Qui il coprifuoco cominciava intorno alle sei di sera, tutti ci chiudevamo in casa con la nostra paura, ad ogni rumore un sussulto. I terroristi venivano sempre di notte: entravano in quattro o cinque, gli altri aspettavano fuori, rapivano le ragazze più giovani per portarle all”emiro (il capo di ogni gruppo armato) e costringerle al matrimonio di piacere, portavano via i televisori con il pretesto che non bisognava guardare la tv ma poi abbiamo scoperto che li rivendevano, si prendevano quel che trovavano da mangiare e chiedevano soldi, sempre di più. Non ce la facevamo più, per questo abbiamo deciso di prendere le armi”, raccontano le donne di Houch el Gros, un piccolo villaggio di contadini a cinque chilometri da Boufarik. Quando arrivava l”esercito, osservano, ripuliva la zona uccidendo i terroristi che intercettava e faceva retate sommarie tra i loro presunti sostenitori in città e nei villaggi dei dintorni, ma appena se ne andava tornavano i militanti dei gruppi armati che si vendicano con rappresaglie sanguinose. “La mattina aprivamo la porta con la paura di trovare qualche testa mozzata”.Ma da quando si sono costituiti i comitati di autodifesa, a partire dall”agosto dello scorso anno, la situazione è progressivamente cambiata. Sono organizzati in gruppi di una cinquantina di uomini e donne (una minoranza) per quartiere o villaggio, tutti armati. A fornire le armi a chi ha ottenuto un porto d”armi è stato il ministero della difesa, ma il controllo è affidato al comitato.La casa di RabiaA Houch el Gros è una palazzina coloniale abbandonata dal proprietario dopo numerose incursioni ad essere utilizzata come sede dei “patrioti”: due stanze, con brandine, servono per chi fa la guardia da dietro i balconi riempiti di sacchetti di sabbia. A pochi metri, oltre una distilleria di essenze per profumi anch”essa abbandonata, la casa di Rabia.Ci accoglie la suocera, una vecchietta esile ma energica, già moujahidat (combattente della guerra di liberazione come il marito che è stato buttato giù da un elicottero dai francesi), che racconta come resisteva agli assalti dei terroristi preparandosi sul tetto con una scorta di pietre e bottiglie molotov. “Questo è il nuovo fronte di liberazione nazionale”, afferma convinta. Davanti casa esposte come cimelio le bombole di gas usate dai gruppi armati per gli attentati. Sulla strada ai posti di blocco si alternano militari e “patrioti” spesso anch”essi in abiti militari e difficilmente distinguibili ai visitatori, mentre alle donne sono affidati compiti meno esposti.Questo tipo di organizzazione, la popolazione armata, non più solo in Kabylia ma anche all”ovest dove si sta sempre più estendendo, non rischia di far precipitare il paese nella guerra civile? “All”inizio c”erano scontri, anche sanguinosi tra noi e i terroristi, ma ora non vengono più qui, sono dei vigliacchi, si nascondono sulle montagne”, racconta un giovane “patriota”. Ma a volte sono loro che li vanno a cercare.Tornando verso Boufarik, sotto una insolita pioggia molto apprezzata, sulla strada tutti i segni della recente “guerra”: grossi buchi nell”asfalto provocati dalle bombe che hanno anche distrutto numerose case. Il primo quartiere che incontriamo è quello soprannominato Miami-Dallas, un agglomerato di palazzi dove hanno trovato rifugio famiglie che prima vivevano in baracche e quando sono arrivate qui credevano di aver trovato l”America. E” durato poco. L”arrivo del terrorismo ha seminato il terrore, in una notte, in uno di questi palazzi sono state sgozzate sette persone, tra cui due giornalisti. Anche questo quartiere ha il suo comitato di “patrioti”, ospitato in una baracca.Nel centro di Boufarik incontriamo un”altra donna, un altro simbolo, che combatte il terrorismo su un altro terreno. Hafida Benelfoul, sulla sessantina, ha visto uccidere suo figlio Hassan proprio davanti casa, perché si era rifiutato di seguire un gruppo di islamisti. Era la vigilia della festa dell”Aid (quella di fine Ramadan) dello scorso anno, ricorda. Ora è rimasta sola ma non serba rancore, è convinta che per mantenere vivo il ricordo di Hassan deve lottare contro i “nemici dell”Algeria”. E” molto religiosa, da quando è diventata presidente della Croce rossa di Boufarik occupa tutto il suo tempo in attività di solidarietà: “bisogna battere gli islamisti sul loro terreno”, sostiene.Il ristorante del cuoreGira con in macchina una cassa piena di vestiti da distribuire ai bambini bisognosi. Durante il mese del Ramadan è riuscita ad ottenere donazioni da vari commercianti per organizzare quello che lei ha chiamato il “resto (ristorante) del cuore”. In una mensa scolastica ha distribuito ogni sera, per tutto il mese del digiuno, seicento pasti alle persone più disagiate. Solidarietà accompagnata ad opera di moralizzazione. I “patrioti” nel loro controllo del territorio hanno scoperto molti casi di corruzione che coinvolgevano anche forze di sicurezza che ora vorrebbero disarmarli.Boufarik è un centro agricolo importante e il primo mercato ortofrutticolo dell”Algeria, con un grosso giro d”affari. Questa situazione di incertezza era l”ideale per imporre tangenti in cambio di una promessa “sicurezza” a commercianti ed agricoltori. E non erano solo i terroristi a controllare il racket.Ma sicuramente anche a Boufarik la sconfitta maggiore per i gruppi armati è stato l”isolamento progressivo da parte della gente. Prima avevano un appoggio tra la popolazione. E per diversi motivi: opposizione al regime, paura o perché convinti in questo modo di partecipare al jihad (guerra santa). Ma dopo i “matrimoni di piacere”, gli stupri, gli sgozzamenti, i soprusi, si è scoperto che l”islam era solo un pretesto.’

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