Non si può rinunciare alla giustizia, a fare giustizia, attraverso gli organismi preposti. Anche quando il verdetto non corrisponde alle nostre aspettative. Anche quando pensiamo sia ingiusto, non dobbiamo arrenderci, almeno fino a quando non abbiamo espedito tutte le strade possibili.
Ho sostenuto la necessità di arrivare a un processo per la morte di Calipari, non per avere un capro espiatorio in Mario Lozano ma per sapere di più su quello che era successo quella notte del 4 marzo 2005 a Baghdad. Purtroppo non abbiamo avuto giustizia. Purtroppo non abbiamo avuto risposte. È prevalsa la ragion di stato e nessuno ha voluto fare la voce grossa nei confronti degli Stati uniti che questo processo non volevano (vedi pressioni sul nostro ambasciatore a Washington rivelate da WikiLeaks). Lozano ha continuato le sue missioni militari e Calipari è stato dimenticato dai più.
Giustizia ho chiesto anche per i due pescatori indiani della cui morte sono sospettati i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti in India, presso la nostra ambasciata. Sono passati due anni senza che sia stato formulato nei loro confronti un capo di accusa, questa non è giustizia. La giustizia non può dipendere da compatibilità elettorali, da rapporti di forza, da conflitti di potere o persino da supposti ricatti su tangenti non pagate. La giustizia non può dipendere da fattori esterni al sistema giudiziario.
A rendere complessa la definizione del capo d’accusa, per la verità, concorre anche la legge La Russa che ha mandato i militari sulle navi civili senza stabilire regole precise sulla catena di comando. I militari sono al servizio dello stato, ma in quel caso non lo erano. Latorre e Girone sono dunque vittime delle “ingiustizie” indiane e della legge Larussa, che ora si agita tanto per ottenere la loro liberazione.
Scartata, pare, fortunatamente, la possibilità che i due fucilieri possano essere accusati in base alla legge antipirateria che prevede la pena di morte (io sono contro la pensa di morte e persino contro l’ergastolo), resta comunque il fatto che non si possano mantenere due persone nel limbo della giustizia per due anni.
Anche se un’eventuale pena può essere scontata in Italia – secondo un accordo firmato recentemente tra i due paesi – in ballo è l’affidabilità della giustizia indiana. Non si può più tollerare questo ritardo.