In Tunisia un «salafita» contro un populista

Al ballottaggio per le presidenziali un costituzionalista ultraconservatore e un «berlusconi» in carcere per riciclaggio di denaro.

In Tunisia un «salafita» contro un populista
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Giuliana Sgrena Modifica articolo

17 Settembre 2019 - 22.40


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Kais Saied contro Nabil Karoui, ovvero ultraconservatori contro populisti. I due candidati (dei 26 in lizza) che si sono piazzati ai primi due posti nelle elezioni presidenziali di domenica in Tunisia dovranno ora confrontarsi nel ballottaggio che potrebbe svolgersi tra il 29 settembre e il 13 ottobre, comunque entro 15 giorni dalla proclamazione dei dati definitivi da parte dell’Istanza superiore indipendente per le elezioni (Isie).

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Quello di domenica è stato sicuramente un voto contro il «sistema», contro chi ha governato la Tunisia dopo la rivolta dei gelsomini. Il disincanto si è espresso anche con la forte astensione. Ha votato il 45% degli aventi diritto, 20% in meno delle elezioni del 2014, quando aveva vinto Beji Caid Essebsi, morto il 25 luglio.

Che la rivoluzione tunisina non potesse esaurirsi in pochi anni era evidente fin dall’inizio, ma che il voto di protesta favorisse un «salafita» e il «Berlusconi tunisino» non è un segnale di avanzamento del processo democratico.

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Anche se si possono certamente capire i motivi che hanno disilluso i fautori della rivoluzione: corruzione, disoccupazione, conflitti sociali, inflazione, incapacità di far fronte ai problemi del paese. Ma a favorire l’astensionismo sono stati anche i personalismi che hanno prodotto tante candidature senza che fosse avanzato un nuovo progetto per la Tunisia.

I paradossi di queste elezioni sono molti, innanzitutto il fatto che uno dei candidati al ballottaggio si trovi in prigione per «riciclaggio di denaro», senza che sia stato processato. Ora molti si pongono il problema giuridico e morale sulla sua candidatura al ballottaggio. Non solo chi aveva criticato la sua detenzione.

A contestare il risultato elettorale sono invece i sostenitori del candidato del partito islamista Ennahdha, Abdelfattah Mourou (13%), che affermano di aver altri dati e accusano il «mafioso» Nabil Karoui (15,5%) di aver usato la televisione Nessma per fare campagna elettorale, proprio come gli islamisti hanno usato la loro, Zeitouna Tv. Entrambe, insieme a Radio Quran, avevano il divieto di fare campagna elettorale, emesso dall’Istanza incaricata del controllo audiovisivo e delle elezioni, perché trasmettono illegalmente.

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Certamente Karaoui ha goduto della popolarità garantitagli dalla tv, da lui fondata, anche quando dopo il 2016, in seguito alla morte del figlio ventenne, si è dedicato ad attività di beneficenza nei villaggi poveri all’interno del paese, esclusi dai progetti di sviluppo del governo centrale. A sostituirlo nella campagna elettorale è stata la moglie Salwa Smaoui.

Ancor più sorprendente è stato il risultato di Kais Saied (18,7%) che invece non solo non ha goduto di tv amiche ma ha fatto una campagna elettorale «minimalista» avvalendosi di scarsi mezzi finanziari e senza partecipare ai dibattiti televisivi. Del resto non ha una grande capacità locutoria: è soprannominato «Robocop» per il tono monocorde nell’esprimersi.

Le sue posizioni iperconservatrici tuttavia, secondo i sondaggi, avrebbero sedotto una parte della gioventù islamista – sottratta a Ennhadha – con i suoi discorsi identitari. Feroce avversario della legge proposta dal presidente Essebsi per garantire la parità-uomo donna nell’eredità, si è espresso anche contro la depenalizzazione dell’omosessualità e l’abolizione della pena di morte.

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Assistente alla facoltà di diritto all’università di Tunisi, il costituzionalista Saied è sostenitore di una «democrazia» diretta che dovrebbe realizzarsi con l’eliminazione delle elezioni legislative: dovrebbero essere i consigli locali a eleggere quelli regionali e nazionali.

Il capo del governo Youssef Chahed, che era stato nominato dal partito laico Nidaa Tounes e si era presentato come colui che avrebbe posto fine alla corruzione, ha ampiamente deluso. E non solo perché non ha eliminato la corruzione.

Con la formazione di un suo partito, Tahya Tounes, sperava di avere successo ma si è fermato al quinto posto (7,4). Ora in vista delle legislative del 6 ottobre, lancia un appello alle forze democratiche perché si uniscano e non abbandonino il paese a un futuro sconosciuto.

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Alleanza che appare difficile da costruire visto che le legislative si terranno il 6 ottobre e potrebbero coincidere con il ballottaggio delle presidenziali.

 
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