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Resa dei conti tra esercito e clan

Dopo le dimissioni del presidente Bouteflika i manifestanti chiamano a nuove proteste. Espatrio vietato a 12 uomini d’affari legati al regime per il timore di una fuga di capitali

Resa dei conti tra esercito e clan
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Giuliana Sgrena Modifica articolo

5 Aprile 2019 - 19.34


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Il Consiglio costituzionale algerino ha constatato ieri che l’incarico di Presidente della repubblica è definitivamente vacante e l’atto sarà consegnato al parlamento.

L’Algeria entra ufficialmente in una nuova era, quella senza Bouteflika, che si era dimesso martedì sera. Una decisione annunciata che è precipitata sotto la pressione del movimento popolare e del peso schiacciante dell’esercito. Un’uscita di scena umiliante per Bouteflika che aveva giurato di «morire al potere». E non potrà nemmeno inaugurare la grande moschea, che ha fatto costruire col minareto più alto dell’Africa.

Ha dovuto dimettersi, dopo una interminabile giornata piena di tensione, quando l’Alto comando dell’esercito – riunito il pomeriggio – aveva richiesto l’applicazione «immediata» dell’articolo 102 della costituzione che sancisce l’impedimento del Presidente della repubblica a espletare le proprie funzioni. Questa missiva sanciva la rottura tra il capo di stato maggiore, Ahmed Gaid Salah, e il presidente Bouteflika, del quale l’esercito non riconosceva più l’autorità. Perché questa accelerazione dopo che il presidente, il giorno prima, aveva affermato di volersi dimettere entro il 28 aprile, scadenza ufficiale del suo mandato? Perché oltre alle dimissioni il presidente annunciava che prima di lasciare avrebbe adottato non meglio precisate «misure importanti».  È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Il braccio di ferro tra i due ex-alleati, durato una settimana con sullo sfondo l’insurrezione popolare, è così terminato a favore del generale.

Bouteflika a 82 anni termina una carriera politica che ha attraversato la storia movimentata dell’Algeria, da ministro degli esteri con Boumediene, ai tempi della guerra fredda, fino alla riconquista del potere nel 1999, dopo una «traversata del deserto» durata una ventina d’anni. Era arrivato alla presidenza come «salvatore della patria» dopo il decennio nero del terrorismo, in nome della «riconciliazione» sancita da un referendum e seguita poi da una Carta per la pace e la riconciliazione (nel 2005), che ha garantito l’impunità sia per i terroristi che per i militari. All’inizio seducente, poi sempre più arrogante man mano che rafforzava il suo potere, ha trasformato il presidenzialismo in una sorta di monarchia, circondato dai fratelli. Soprattutto dal consigliere Said, il fratello minore, che ha manovrato fino all’ultimo per non cedere il potere. Said ha infatti incaricato l’ex potente capo dei servizi segreti, Mohamed Mediène, più noto come generale Toufik – già contrario al terzo mandato per Bouteflika – di incontrare l’ex-presidente Liamine Zeroual per convincerlo ad assumere la guida della transizione a una seconda repubblica, che evidentemente per il clan Bouteflika doveva essere una copia della prima. Ma Zeroual ha reso pubblico l’incontro e la sua indisponibilità. Ora, secondo la costituzione, l’interim del capo dello stato – con poteri limitati e per 90 giorni – sarà assicurato dal presidente del Senato, Abdelkader Bensalah, ma siccome è nota la sua impopolarità probabilmente si cercherà di sostituirlo. 

E non basterà la lettera di scuse inviata da Bouteflika agli algerini per far dimenticare i vent’anni in cui le istituzioni sono state svuotate dei loro poteri, mentre i miliardi provenienti dalla rendita degli idrocarburi sono stati sperperati per arricchire gli uomini fedeli al regime.

È stato proprio Gaid Salah, fino a poco fa braccio destro del presidente, a parlare di «un pugno di persone che si sono illecitamente accaparrate le ricchezze del popolo algerino» che «negli ultimi giorni stanno tentando di trasferire capitali rubati e di fuggire loro stessi all’estero». Una possibilità che è stata bloccata, almeno in parte, con l’interdizione all’espatrio di dodici uomini d’affari. Uno di loro, Ali Haddad, presidente del Forum dei capi di impresa, è stato bloccato mentre stava cercando di raggiungere la Tunisia.

Le manifestazioni sono continuate anche ieri e soprattutto aumentano gli appelli per il 5 aprile.

«Le dimissioni di Bouteflika sono una prima vittoria strappata con la mobilitazione storica del popolo algerino; ma non è sufficiente perché non offre garanzie…», si legge nel comunicato diffuso ieri dal Collettivo della «dinamica della società civile per una soluzione della crisi pacifica», che raggruppa sindacati e associazioni. In questo contesto «La marcia verso la seconda repubblica è irreversibile. Noi chiediamo il mantenimento della mobilitazione pacifica e la partecipazione massiccia venerdì 5 aprile 2019, dappertutto in Algeria», conclude l’appello.

La strada da seguire per preparare nuove elezioni, libere e trasparenti, eleggere un presidente che possa portare l’Algeria verso la seconda repubblica è tutta da costruire. E che ruolo giocherà l’esercito, finora imprescindibile nella storia algerina?

C’è chi crede – come sostiene il Ffs (Fronte delle forze socialiste) -che abbia «il dovere morale e storico di garantire e proteggere l’ineluttabile transizione democratica senza alcuna interferenza politica».

il manifesto 4 aprile 2017

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