Il regime algerino risponde alle proteste chiudendo le università | Giuliana Sgrena
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Il regime algerino risponde alle proteste chiudendo le università

Dagli atenei è partita la protesta che ha visto scendere in piazza milioni di algerini contro il quinto mandato presidenziale per Bouteflika alle elezioni del 18 aprile.

Il regime algerino risponde alle proteste chiudendo le università
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Giuliana Sgrena Modifica articolo

10 Marzo 2019 - 11.40


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L’unica risposta che ha saputo dare il regime algerino a due settimane di proteste che hanno portato nelle piazze milioni di persone è stata la chiusura anticipata di 12 giorni delle università per le vacanze di primavera, che dovevano cominciare il 22 marzo.

Il ministro dell’insegnamento superiore ha diffuso la circolare che prevede la chiusura delle università dal 10 marzo al 4 aprile. Dalle università il 22 febbraio era partita la protesta contro la candidatura per il quinto mandato presidenziale del presidente Abdelaziz Bouteflika. Evidentemente la decisione mira a spegnere il fuoco della contestazione là dove si era acceso, ma difficilmente riuscirà nell’intento. Docenti e studenti si riuniranno oggi, non si conosce ancora il luogo.

Tutte le informazioni circolano sui social network e non mancano le fake news diffuse ad arte per inquinare la protesta. Ma finora non ci sono riusciti, la determinazione dei manifestanti che vogliono mantenere la protesta silmiya (pacifica) e hadhariya (civile), come si legge sui cartelli, ha impedito qualsiasi provocazione.

Secondo la leader del Partito dei lavoratori Louisa Hanoune, i provocatori sarebbero però in agguato e alcuni si sarebbero già intrufolati nelle manifestazioni, argomento che serve alla politica per condannare chi contesta anche i partiti, lei stessa è stata cacciata da un corteo. «Militanti e giornalisti ci hanno riferito di giovani incappucciati che esprimevano il loro odio verso i partiti», ha detto Hanoune.

Anche l’ex- generale Ali Ghediri è stato cacciato perché candidato alle elezioni. Altri politici non hanno invece subito contestazioni, compresi i dissidenti del Fronte nazionale di liberazione (Fln).

Le manifestazioni, nonostante gli ingenti schieramenti di forze antisommossa, hanno mantenuto un carattere festoso e ironico, anche gli slogan non hanno nulla di violento, partecipano famiglie intere. Qualcuno diceva che la prossima volta dovrà prenotare il posto, come allo stadio.

E visto che parte dell’organizzazione è partita proprio dai tifosi, forse la prossima volta, come reazione, invece delle università saranno chiusi gli stadi. Ma in questo caso l’effetto sarebbe molto più dirompente, anche se nella prima settimane di proteste la partita di Algeri era stata rinviata.

La manifestazione dell’8 marzo è stata sicuramente la più colorita, piena di fiori, ma i poliziotti non hanno accettato le rose offerte loro dalle manifestanti «per ordini superiori», si sono giustificati. Tra tutte le categorie in piazza non potevano mancare gli artisti e la foto di una ballerina classica, Melissa Ziad, che danza nella centralissima via Didouche Mourad, ha fatto il giro del mondo e ha reso famosa la fotografa Rania G.

E per chi si lamentava della giornata nuvolosa il poeta Abdenour Hachiche ha scritto su Facebook: «Non dite che il tempo non è bello perché il sole non è in cielo, oggi sarà ovunque nelle piazze». Il popolo algerino torna a sperare e si è ripreso le piazze che dal 2001 erano chiuse alle manifestazioni.

Dopo due settimane occorre individuare un percorso da seguire, soprattutto si aspetta una reazione del governo, che pare non abbia nessuna intenzione di dimettersi. Secondo fonti giornalistiche, il clan Bouteflika doveva riunirsi ieri o oggi per valutare la situazione e avanzare una proposta che potrebbe contemplare un rinvio delle elezioni di 10-12 mesi. Così si risponderebbe ai manifestanti che respingono il quinto mandato per Bouteflika e si anticiperebbe la Conferenza nazionale e la revisione della costituzione.

A governare questa transizione dovrebbe essere un governo di tecnocrati, ma non sembra che gli uomini del presidente siano disposti a essere estromessi dal potere, come richiede la piazza e alcuni partiti come il Raggruppamento per la cultura e la democrazia (Rcd) che vuole anche lo scioglimento del parlamento.

Se ancora venerdì sopra il tunnel che collega place Audin con l’Università centrale compariva lo striscione con la scritta «Elezioni presidenziali, insieme per l’Algeria», la possibilità che il 18 aprile si svolga il voto sembra ormai superata. Il regime dovrà prenderne atto, ma sarà disposto a rispondere alla piazza senza usare sempre lo spauracchio della Fitna (caos) se questo sistema crolla?

E come risponderà la piazza se non vi saranno proposte adeguate? Sullo sfondo ci sono le primavere arabe che avevano le stesse rivendicazioni «degagiste» e che sono riuscite a cacciare i dittatori, ma con sviluppi ed esiti diversi. L’Algeria si trova di fronte alla possibilità di una svolta storica dopo quella del 1988, che aveva portato alla fine del partito unico, della quale aveva approfittato l’islamismo.

Dopo il decennio nero degli anni ’90, forse il pericolo di un ritorno all’islamismo sembra esorcizzato, a giudicare dalle voci che si levano dalla piazza, ma le incognite sono ancora molte.

il manifesto 10 marzo 2019

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