Quella di ieri è stata una giornata storica per la Tunisia. Il presidente Ben Ali ha lasciato il potere e il paese, dopo 23 anni di governo dittatoriale. Dopo la fuga a Parigi del presidente è stato il primo ministro Mohamed Ghannouchi ad annunciare alla tv di stato di aver preso il suo posto: «La costituzione prevede la possibilità che il premier assuma il ruolo di presidente della repubblica in via temporanea, nel momento in cui quest”ultimo sia impossibilitato». E ha detto – lui che dal lontano 1992 è considerato un uomo di Ben Ali – di voler realizzare quelle promesse a lungo disattese. E, prima di andarsene, lo stesso ben Ali l”aveva dimesso. A rovesciare Ben Ali sono stati i militari, che avevano preso il potere circondando il palazzo presidenziale a Cartagine e l”aeroporto. Lo spazio resta chiuso, è stato imposto lo stato di emergenza, il coprifuoco è in vigore dalle 6 del pomeriggio alle 6 di mattina. Ogni assembramento di più di tre persone è vietato.
A darci l”annuncio che la situazione stava precipitando ieri sera è stato il portavoce del Partito comunista Hamma Hammami che abbiamo sentito al telefono, subito dopo la sua liberazione. Era stato arrestato mercoledì (Hammami definisce la sua detenzione un «sequestro») tuttavia ci spiega di non essere stato torturato, anzi nemmeno interrogato. Nei giorni scorsi si era temuto per la sua vita, invece la sua liberazione era il segno che stava succedendo qualcosa di grosso.
Che cosa ne penseranno i manifestanti? Il coprifuoco è scattato ed è difficile raggiungere qualcuno per telefono. Una voce alla fine arriva: «Ghannouchi è anche lui uno della stessa famiglia (era stato nominato da Ben Ali ed era stato anche ministro dal 1992, ndr), ma forse così si è evitato che il paese cadesse nel caos, e poi il suo potere dovrebbe essere temporaneo, almeno così ha detto».
L”illusione che la Tunisia potesse voltare pagina senza ulteriori spargimenti di sangue è durata lo spazio di un mattino. Il siluramento di tutto il governo e la convocazione di elezioni entro sei mesi era stata l”ultima mossa del presidente per cercare di placare la protesta. Evidentemente messo alle strette dai militari e dai manifestanti, Bel Ali aveva cercato di sfruttare un”ultima chance. Che però non ha funzionato: troppo poco e troppo tardi.
A giudicare dagli umori della enorme folla che ieri mattina aveva invaso e occupato la centrale via Bourghiba fino al pomeriggio ogni compromesso sembrava scartato. Molti gli slogan e una sola bandiera, quella tunisina che è stata issata in cima agli alberi e fin sui tetti degli edifici che si affacciano sulla via dove si sono ammassati molti manifestanti.
Ho un sogno, recitava un cartello, «Una Tunisia libera» ma il grido «Ben Ali degage» (vattene) non lasciava dubbi sul fatto che i tunisini non erano più disposti a tollerare questo regime, nemmeno mimetizzato. Molti degli slogan erano contro la famiglia della «parrucchiera», la moglie del presidente, che deteneva il potere economico del paese retto su un sistema mafioso, come è stato giudicato anche dai cablogrammi pubblicati da WikiLeaks. E la folla in piazza non era più solo costituita dai giovani che un mese fa hanno iniziato la ribellione. C”erano ragazzi e anziani, maschi e femmine, lavoratori e disoccupati, studenti e avvocati, che toga addosso si sono uniti alla protesta, artisti e intellettuali. Una manifestazione di popolo. Una prova di forza avvenuta il giorno dopo quella del partito al potere che la sera prima, dopo il discorso del presidente, aveva fatto invadere la via Bourghiba da macchine che con i loro clacson hanno violato il coprifuoco teoricamente ancora in vigore. I militanti pro-regime inneggiavano al presidente per aver ridotto i prezzi dei beni di prima necessità, ma la folla ieri urlava pane e olio sì, ma Ben Ali no. E soprattutto chiedeva libertà e giustizia.
Quelle aspirazioni che sono anche le rivendicazioni di partiti di opposizione e del sindacato, realtà che tuttavia non hanno nessuna capacità o possibilità di rappresentare un movimento spontaneo e per ora senza nessun leader politico riconoscibile. Ieri parlando con i giovani, l”unico riferimento che avevano era Bourghiba che certo non è stato tenero ma almeno aveva dato dei valori a questo paese. Forse un leader non è ancora emerso perché finora non c”è stata possibilità di avere visibilità, ma ora non sarà più possibile cancellare questa protesta, o eliminare fisicamente i loro esponenti più in vista.
Ieri pomeriggio, dopo che per ore i manifestati avevano insultato oltre Ben Ali anche la polizia schierata a protezione del ministero degli interni simbolo della repressione, la repressione è scattata quando sono arrivati i manifestanti dalla periferia di Tunisi con un furgone sul quale portavano il corpo di Helmi un ragazzo di 24 anni ucciso, pare da un cecchino, giovedì sera a Rue de Lyon. Sul tetto del furgone un suo amico con un mazzo di fiori. Arrivati davanti al ministero degli interni, il corpo di Helmi è stato deposto per terra ed è cominciata la cerimonia del funerale con la preghiera. A quel punto è scattata la repressione dei poliziotti che si è poi estesa velocemente nelle vie adiacenti alla Bourghiba dove si erano raccolti gruppi di ragazzi. Le scaramucce sono durate a lungo e mentre l”aria diventava irrespirabile, la polizia ha nuovamente blindato il centro.
In questo clima è arrivata la notizia del nuovo siluro di Ben Ali e dell”apertura alle elezioni. ‘
Golpe militare, Ben Ali scappa
Al termine di una drammatica giornata, il presidente se ne va
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15 Gennaio 2011 - 11.52
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