Non c’è dubbio, le donne più maltrattate di questo mondo sono le saudite. Violenze atroci che non vengono documentate per mancanza di informazione, il regno saudita è uno dei paesi più ermeticamente chiusi ai giornalisti stranieri, e per interesse, il paese è un alleato dell’occidente oltre che il principale fornitore di petrolio.
Fortunatamente, attraverso le nuove tecnologie – blog e youtube – le donne saudite sono riuscite a rompere il muro di omertà che le circondava e a farci arrivare informazioni e immagini, soprattutto quello delle donne che guidano l’auto sfidando le ire del regime. Tra i tanti divieti imposti al sesso femminile vi è anche quello della guida. È un modo per impedire alle donne qualsiasi libertà di movimento e relegarle dentro case che hanno persino la doppia entrata, doppio ascensore, doppie scale. Un ver
o apartheid sessuale che ha effetti devastanti sulla salute mentale dei maschi.
La religione viene utilizzata per giustificare una concezione patriarcale e arcaica della società che considera le donne come una maledizione, schiave da sottomettere al ferreo controllo dei maschi.
Le femmine vengono escluse dall’albero genealogico e quando si cita il loro nome spesso si aggiunge “waanta be karama” (una frase che serve per scusarsi di avere usato un termine offensivo). Soprattutto fra i beduini è normale dare alle figlie femmine nomi ridicoli, mostruosi o di animali. Tanto che ha dovuto intervenire il governo per impedire l’uso di termini offensivi.
A controllare il comportamento delle donne oltre ai maschi di famiglia (non importa l’età ma solo il sesso) vi è anche la polizia per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù. Ma la virtù non è una prerogativa degli uomini di religione a giudicare dai loro comportamenti.
Recentemente ha suscitato lo sdegno delle donne saudite la liberazione, dopo pochi mesi di carcere, del famoso predicatore televisivo Fayahn al Ghamdi, che ha torturato la sua bambina di cinque anni a morte. Una morte atroce avvenuta alla fine dello scorso anno, dopo dieci mesi di terribile agonia. Il predicatore dubitava della verginità di Lama e per questo l’ha frustata, ha usato l’elettroshock, le ha strappato le unghie e bruciato il corpo con un ferro. Quando la madre, divorziata dall’uomo che la picchiava, è arrivata all’ospedale chiamata dalla polizia non ha nemmeno riconosciuto la figlia. “Il suo viso era irriconoscibile, era stata brutalmente picchiata e sfigurata, tutte le ossa della parte destra del corpo erano rotte, il cranio fratturato….” ha riferito.
Dopo il suo rilascio dal carcere al Ghamdi è stato condannato a pagare il “prezzo del sangue” alla famiglia della vittima, quindi una parte toccherà anche a lui. La somma da pagare, secondo la legge saudita, è di 400.000 riyal (circa 80.000 euro) per un maschio, 200.000 se la vittima è una femmina. Purtroppo la discriminazione persino sul risarcimento delle vittime in base al sesso non è in uso solo in Arabia saudita.
Siccome le proibizioni vengono imposte in nome della sharia (legge coranica) alcune donne – e anche maschi – si sono convertiti al cristianesimo, una scelta che in un paese musulmano comporta la pena di morte per apostasia. L’ultimo caso noto è quello di Mariam, una donna di 28 anni che, pare, si sia lasciata convincere da un suo collega libanese a convertirsi. Fuggita prima in Bahrein e poi in Libano, con l’aiuto del libanese e di un amico saudita, si è convertita dopo di che ha postato un video su youtube in cui esaltava la religione cristiana. Naturalmente l’effetto è stato dirompente: la famiglia vuole perseguire i due uomini che hanno traviato la figlia. E le autorità saudite vogliono impedire alle donne di lavorare in ambienti dove si trovano stranieri per evitare altri casi del genere. Se mai dovesse tornare in Arabia saudita Mariam rischierebbe di essere decapitata.
Mariam non è la prima donna saudita a convertirsi, famoso è diventato il caso di Fatima al Mutairi, considerata una martire tra i cristiani d’oriente. Fatima, che si era convertita nel 2008, non aveva mai lasciato l’Arabia saudita e così fu uccisa dal fratello che le ha dato fuoco. Ma in Arabia saudita non si è mai parlato di questa morte atroce.
Nonostante i rischi sono sempre di più le donne che si ribellano alle leggi oscurantiste del regno saudita.
il manifesto, 7 marzo 2013