Algeria, al voto con lo spettro dell''astensione'

Algerini al voto dopo una campagna svolta nell''indifferenza. Le donne, imposte per legge, su alcuni manifesti sono senza volto. Il Fln favorito.'

Algeria, al voto con lo spettro dell''astensione'
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4 Maggio 2017 - 08.27


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«Mamma (dove mamma sta per Algeria, ndr) non posso darti il mio voto: hai speso 2 miliardi per costruire una moschea invece di investirli per un ospedale e così chi si ammala deve andare a curarsi all’estero invece di poterlo fare qui. Mamma non posso proprio darti il mio voto……». Il clip postato su youtube ha raggiunto quasi 3 milioni di follower. I giovani algerini hanno scatenato la loro creatività e ironia su youtube e i loro clip per il boicottaggio delle elezioni algerine sono diventati immediatamente virali.

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Lo spettro dell’astensione è il fattore più rilevante della scadenza elettorale in Algeria. Chiusa la campagna per le legislative il 30 aprile, 23,3 milioni di algerini aventi diritto al voto hanno avuto tre giorni di riflessione prima dell’apertura dei seggi, oggi, 4 maggio. 12.000 i candidati, divisi in una trentina di partiti, che si contenderanno 462 seggi dell’Assemblea nazionale popolare.

I numerosi appelli alla partecipazione – da quello del presidente Bouteflika ai leader dei vari partiti e degli imam che naturalmente perorano la causa islamista – non sembrano aver scosso gli algerini dall’indifferenza mostrata durante la campagna elettorale. Molti comizi sono stati sospesi per mancanza di partecipanti. Non era mai successo prima, sebbene l’astensione non sia un fatto nuovo nel panorama elettorale algerino: nel 2007 aveva votato il 35,65 per cento e nel 2012 il 42,9.

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Gli appelli a recarsi alle urne si sono dimostrati vani quando non sono caduti nel ridicolo come la campagna «Fai sentire la tua voce», ovvero fai contare il tuo voto, lanciata dal Ministero degli interni e delle collettività locali. Le foto usate per i poster che campeggiavano negli spazi pubblicitari sono state estratte da banche dati come Shitterstock e Fotolia, così le «modelle» sono risultate evidentemente straniere nonostante i ritocchi di Photoshop che dovevano renderle più algerine: gli occhi chiari di una ucraina sono diventati marroni, il velo azzurro di una russa è stato colorato di un verde islamico più adatto all’Algeria. L’importante è che la tessera elettorale fosse quella algerina, ma questo non ha evitato alla campagna di cadere nel ridicolo.

Non sarà comunque questo il motivo per cui gli algerini non andranno a votare, sebbene ci sia stato chi ha pagato – spesso riciclando denaro sporco – per poter entrare nelle liste elettorali del partito la cui vittoria è scontata, il Fronte di liberazione nazionale (Fln). Uno dei dirigenti del partito è stato trovato con il malloppo.

Sono passati meno di trent’anni dalla sanguinosa rivolta che aveva portato all’introduzione del multipartitismo, ma quello che era il bistrattato partito unico è tornato a dominare la scena politica quasi incontrastato. E il segretario generale del partito Djamel Ould Abbes, durante la campagna elettorale, ha affermato che il Fln governerà per i prossimi 100 anni.

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Superato il decennio sanguinoso (gli anni 90) durante il quale lo scontro tra due modelli di società – uno laico e l’altro teocratico – aveva portato a circa 200.000 morti, la speranza di coloro che intravedevano nella sconfitta dei Gruppi islamici armati un nuovo inizio è crollata.

«Abbiamo sperato che la fine del terrorismo ci avrebbe portato alla democratizzazione della vita pubblica e politica, invece ci siamo sbagliati. L’Algeria è governata da incompetenti e corrotti che schiacciano tutti», mi dice un’amica da Algeri. È la prima volta da quando seguo l’Algeria che tra i miei interlocutori trovo tanta amarezza e sfiducia nella classe politica, tutta. Un ventenne esprime la rabbia di tanti giovani che non riescono a trovare un lavoro adeguato: «io non voterò e come me l’80 per cento dei giovani, glielo assicuro, e per chi dovremmo votare? Sono tutti ladri». I giovani di oggi non sono più gli hittistes che bivaccavano appoggiati ai muretti della capitale algerina alla fine degli anni 80. Sono giovani che cercano un lavoro per mantenersi.
La disoccupazione era scesa negli ultimi anni con l’aumento del prezzo del petrolio, anche se la rendita petrolifera non ha certo favorito tutta la popolazione, ma gli investimenti avevano procurato posti di lavoro. Con il crollo del prezzo dell’oro nero la disoccupazione è di nuovo in agguato, anche se il primo ministro Abdelmalek Sellal assicura che l’Algeria non farà la fine del Venezuela. Il caro vita – i prezzi dei beni di prima necessità hanno subito un’impennata senza precedenti –, la crisi degli alloggi, le incognite del futuro mettono a dura prova l’elettorato disgustato dai giochi di potere.
I due principali partiti, già al governo e lacerati al loro interno, sfruttano l’immagine di Bouteflika in vista della sua successione – nel 2019 – poiché appare sempre più improbabile una ricandidatura per un quinto mandato, viste le condizioni di salute del presidente. Che continua a ripetere l’appello al rinnovamento lanciato all’indomani dello scoppio delle «rivoluzioni arabe» e che non si è ancora concretizzato.

I partiti islamisti – che godono dell’appoggio delle moschee – non sono certo più propositivi e concreti dei partiti di governo, anzi il loro obiettivo è proprio quello di entrare nella cerchia del potere. Al governo aspira soprattutto il Movimento sociale per la pace, che è stato all’opposizione per cinque anni.

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D’altra parte a capo dell’Alta istanza indipendente per il controllo delle elezioni (Hiise) è stato nominato un islamista, Abdelwahab Derbal, già deputato di Ennahda, poi recuperato da Bouteflika. È stato ambasciatore in Arabia saudita e rappresentante permanente presso la Conferenza dell’organizzazione islamica fino al 2013.

L’opposizione laica (Ffs, Rcd, Pt) che in passato aveva anche sostenuto il boicottaggio questa volta partecipa alle elezioni per evitare di sparire dal panorama politico e avere una seppur piccola rappresentanza nell’Assemblea nazionale che permette comunque di ottenere risorse finanziarie. Cercheranno di fare leva sul malcontento che sta infiammando il paese, a partire dalla Kabylia. Sul terreno si misurerà la loro credibilità.

Altra caratteristica di queste elezioni è che i nomi noti sono piazzati in fondo alle liste mentre in testa sono prevalentemente giovani cresciuti dopo il terrorismo (di cui l’Algeria non può ancora considerarsi liberata viste anche le escursioni del jihadismo di Daech) e che, con un livello inferiore di scolarizzazione e di preparazione politica, possono essere più spregiudicati anche rispetto alle tragedie del passato.

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«Le vittime del terrorismo non sono una preoccupazione per i partiti politici e nemmeno per i loro candidati. Per questo le vittime e i loro familiari non trovano nessun interesse per le elezioni legislative che ignorano le rivendicazioni delle vittime del decennio rosso come se non fosse mai esistito. Togliere loro uno spazio pubblico serve a negare l’esistenza di questa categoria di cittadini nell’Algeria post-terrrorismo», ci dice Cherifa Kheddar presidente dell’Associazione Djazairouna.

Anche le donne impegnate – sebbene più istruite dei maschi – non sono più un elemento qualificante per le liste elettorali, meglio se non sono identificabili come femministe, aggiunge Cherifa.
Eppure la legge elettorale prevede una quota per le donne che nella passata legislatura ha garantito la presenza del 35 per cento di deputate nell’Assemblea nazionale. Le donne sono così poco apprezzate che, dovendole mettere in lista per legge, su alcuni manifesti elettorali appaiono senza il loro volto, sono solo dei fantasmi. Non solo gli islamisti le hanno cancellate ma in alcuni casi anche un partito laico e socialista come il Fronte delle forze socialiste (Ffs) che poi, paradossalmente, ad Algeri ha come capolista una donna, una giornalista molto nota, Salima Ghezali.

Ma le donne capolista sono un’eccezione: «La gente tende a dimenticare che le donne erano a fianco degli uomini durante la guerra di liberazione», sostiene Moussa Benhamadi, portavoce del Fln, secondo la quale è l’egoismo dei politici e la mentalità diffusa a ostacolare le donne in politica.

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Eppure tra i paradossi algerini ve n’è anche uno positivo. La lista del Fronte nazionale algerino di Chlef è formato esclusivamente da donne. La presidente del partito di questa wilaya ha spiegato che le donne militanti sono molto più numerose nelle strutture locali. Le candidate, alcune molto giovani, sono tutte laureate: un livello intellettuale uguale o superiore alla media dei candidati, precisa la presidente del partito Bouceka.

In effetti secondo il quotidiano El Khabar 5.260 su 12.591 candidati non hanno un diploma.

Dunque il boicottaggio se sarà confermato nei termini suggeriti dalla campagna elettorale non è dovuto a qualunquismo o nichilismo ma a un totale scollamento tra politica e società. La caccia al voto che non ha risparmiato mezzi – soldi, promesse e religione – non ha però convinto. Nessuno ha affrontato i problemi che preoccupano gli algerini: la corruzione, i diritti, il lavoro. Anche lo scontro tra laici e islamisti non è più all’ordine del giorno eppure i tabu conservator-religiosi non sembrano affatto superati.

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il manifesto 4 maggio 2017
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