War stress

Quei soldati che scoppiano prima di partire

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7 Novembre 2009 - 11.52


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L”idea di dover partire per l”Afghanistan lo ossessionava. Aveva avuto fiducia in Obama, pensava che avrebbe ritirato tutte le truppe dall”Iraq e dall”Afghanistan. Ma così non è stato. Dopo anni ad ascoltare le storie di atrocità commesse sui teatri di guerra dai soldati che tornavano da laggiù, e che lui doveva assistere come psichiatra, deve aver pensato che non poteva diventare come loro. Tanto più che lui è musulmano e la sua famiglia è di origine araba, come gli iracheni. Così, giovedì, il maggiore Malik Nidal Hassan ha preso due armi e ha cominciato a sparare contro i giovani che si trovavano nel Soldier Readiness Facility di Fort Hood in attesa di cure. Ne ha uccisi 13 e feriti 30, prima di essere colpito a sua volta. Malik Nidal Hassan, che si troverebbe nelle mani della polizia, non è morto e la sua morte «non è imminente» ha dichiarato inopinatamente il generale Bob Cone.Malik Nidal Hassan, 39 anni, nato in Virginia da genitori palestinesi, una laurea nell”esercito, è l”autore del peggiore massacro avvenuto dentro una base statunitense. Un caso simile, ma con un bilancio meno drammatico, era accaduto l”11 maggio 2009 in una base americana a Baghdad, un soldato aveva sparato uccidendo cinque suoi commilitoni in attesa di cure in un centro di consulenza per soldati affetti da stress.Fort Hood non una base qualsiasi. È il più grande centro militare degli Stati uniti per l”addestramento e per la concentrazione di truppe che partono o arrivano dall”Iraq e dall”Afghanistan. Si tratta di una vera e propria città, situata a 160 chilometri a sud di Dallas, dove vivono 50.000 militari e 150.000 tra familiari e personale di supporto civile. Una base che ha registrato il record di suicidi dall”inizio della guerra in Iraq. Dal 2003 sono stati infatti 75 i militari che si sono tolti la vita, 10 solo quest”anno, quasi un decimo dei 117 suicidi che si sono verificati nell”esercito nel 2009, nel 2008 erano stati 128 più altri 15 casi sospetti, mentre nel 2007 erano stati 115. La percentuale è salita dal 16,8 ogni 100.000 militari (2007) al 20,2 per cento sempre su 100.000 (2008).I suicidi in continuo aumento sono un evidente segno dell”enorme disagio provocato ai militari dai Disturbi da stress post traumatico (Pstd). Secondo un rapporto della Rand corporation il 20 per cento dei veterani soffre di disturbi Pstd, si tratta di 300.000 soldati su 1,7 milioni che hanno servito in Iraq e Afghanistan e solo la metà di loro gode di una assistenza da parte del Dipartimento veterans affairs (Va). Spesso diventa insopportabile anche l”attesa di veder accettata o meno la propria richiesta di assistenza, così, nei sei mesi che hanno preceduto il 31 marzo 2008, 1.467 veterani si sono tolti la vita. Oltre ai Disturbi da stress post traumatico, sempre secondo il rapporto della Rand corporationi, il 19 per cento dei soldati ha subito lesioni cerebrali e il 7 per centro soffre sia di stress che di lesioni.Oggi sono più i veterani che si uccidono di quelli che muoiono nei combattimenti oltremare. Secondo quanto scrive Dahr Jamil nel suo libro “The will to resist” un migliaio tra i veterani assistiti dal Dipartimento Va tenta il suicidio ogni mese e 18 sono i suicidi giornalieri tra tutti i soldati, non solo tra coloro che hanno combattuto in Iraq. Per quelli che sopravvivono sembra che la lotta più dura sia quella che combattono quando tornano a casa portandosi dentro paure, incubi, sensi di colpa per le atrocità commesse o che sono stati costretti a commettere.Il suicidio tra i veterani è una vera e propria emergenza tanto che il Dipartimento Va ha istituito un numero telefonico di soccorso che riceve 250 chiamate al giorno. Tra gli ex combattenti i più vulnerabili sono coloro che appartengono alla Guardia nazionale perché meno preparati al combattimento anche psicologicamente.E non sono solo i veterani dell”Iraq e dell”Afghanistan a soffrire di stress e depressione, ma anche i soldati che hanno combattuto in Vietnam. “Non c”è nulla che possa bloccare la loro memoria”, sostiene Linda Rotering, assistente sociale che lavora nel centro per veterani di Portland, “sento e risento la stessa storia sia che davanti a me sia seduto un ragazzo di 19 anni oppure un uomo di 60 che ha combattuto in Vietnam, dalla loro bocca escono esattamente le stesse parole” . Linda Rotering, intervistata dal Portland Tribune, aggiunge che molti veterani del Vietnam stanno peggio ora di qualche anno o decennio fa, perché prima riuscivano a dominare i loro sintomi da stress post traumatico impegnandosi ne loro lavoro e con la loro famiglia, mentre ora che sono in pensione e i figli sono grandi tornano ad emergere con tutta la loro potenza le immagini della guerra.’

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