Stiamo andando verso la divisione dell''Iraq'

Intervista al vescovo di Kirkuk, Louis Sako

Stiamo andando verso la divisione dell''Iraq'
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4 Dicembre 2008 - 11.52


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Tra il territorio amministrato dal governo regionale del Kurdistan e l”Iraq non vi sono frontiere, se si vuole uscire da Erbil non ci sono problemi invece per rientrare lunghe file si formano ai posti di controllo. Il timore che arrivino terroristi dal resto del paese è molto alto. Andando verso Kirkuk, la città contestata da arabi e kurdi il cui status non è ancora stato definito, il manto stradale è sempre più rovinato mentre aumentano i posti di controllo. L”odore di petrolio che si respira nell”aria man mano che ci si avvicina alla città che galleggia sull”oro nero (il 40 per cento della produzione irachena) rende percepibile la sua importanza. Il fuoco alimentato dal gas brucia ininterrottamente. Entriamo nella città dalla parte kurda – la città è etnicamente divisa – che si sta estendendo a dismisura con la costruzione di nuovi quartieri.L”appuntamento è con il vescovo caldeo di Kirkuk, Louis Sako, che avevamo già incontrato nel 2003 a Mosul. La casa diocesana si trova nella zona mista. Il vescovo ci rassicura: la situazione è calma. E infatti non c”è nemmeno il solito traffico essendo venerdì. Non voglio rinunciare all”incontro con il vescovo, una persona molto disponibile, perché il problema dei cristiani è esplosivo nell”Iraq del dopo-Saddam, soprattutto a Mosul diventata la zona più violenta dell”Iraq. Duemila famiglie cristiane hanno abbandonato la capitale di Ninive, molte sono arrivate in Kurdistan affollando il quartiere cristiano di Erbil, Ainkawa, altre sono fuggite in Siria. «I cristiani lasciano il paese perché vogliono vivere in libertà e con dignità. Dal 1991 se ne sono andati circa 200mila (ne sono rimasti circa 500mila, ndr), molti durante l”embargo, ma ora si assiste a un esodo di massa», spiega il vescovo.Molti iracheni vorrebbero lasciare il paese ma forse per i cristiani ci sono maggiori facilitazioni.Ci sono facilitazioni per i cristiani che vogliono andarsene (in Usa, Italia o Germania), ma questo non ci aiuta perché se in Iraq non ci fossero più cristiani sarebbe una perdita per noi e anche per i musulmani. Inoltre chi parte non è preparato a vivere in occidente: qui è abituato a vivere in famiglia, non c”è la mentalità da single, qui c”è il collettivismo. Tra quelli che se ne sono andati ci sono i membri del vecchio regime e anche i genitori anziani che hanno raggiunto i figli all”estero.A proposito, che fine ha fatto Tareq Aziz?E” sempre in prigione, è un uomo di livello molto alto, avrebbero dovuto approfittare del suo carisma per risolvere i problemi.Come vede il futuro?Andiamo verso la divisione del paese.E in mezzo vi è Kirkuk, quale sarà il suo futuro?Non si sa ancora che fine farà, i kurdi sono la maggioranza ma ci sono anche turcomanni e arabi (e i turcomanni sono più legati agli arabi che ai kurdi). La città galleggia sul petrolio. Il fuoco eterno brucia sempre ed è celebrato come un dio. A Kirkuk c”è un governo misto più legato a Baghdad che al governo kurdo. Non si vede via d”uscita, è un mosaico, solo il dialogo può favorire una soluzione, è meglio includere gli altri che escludere, la diversità è una ricchezza. Dobbiamo imparare a conoscere gli altri, accettarli come sono, l”altro non deve essere necessariamente un nemico.In questa situazione che cosa fa la chiesa?Aiutiamo la popolazione, incoraggiamo i nostri a restare e a sperare, coltiviamo il dialogo con kurdi, arabi, sunniti e sciiti, organizziamo incontri con loro, preghiamo insieme per la pace, questo serve più che altro per pensare insieme, per incontrarci. Se cerchiamo una soluzione logica e civilizzata non c”è altra strada che il dialogo, la violenza complica la situazione, adesso la gente ne è cosciente, la violenza è la rovina degli uomini e del paese. Invece di dividere il paese bisogna pensare all”unità. La convivenza è molto più positiva della separazione di un solo gruppo omogeneo. La cittadinanza deve essere irachena e non basata sull”etnia o sulla religione. I kurdi devono essere prudenti per salvaguardare i privilegi che hanno ottenuto, ora sono il gruppo più forte ma nessun paese confinante vuole un Kurdistan indipendente, solo l”occidente è a favore. Penso che i leader politici kurdi siano coscienti di questa realtà. ‘

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